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PIVIO E IL CORAGGIO DI ANDARE CONTROCORRENTE: «MISOPHONIA È STATA UN’AUTOTERAPIA». ALLA SCOPERTA DEL NUOVO ALBUM
È uscito il 23 novembre l’ultimo disco dell’artista che esplora l’intolleranza al suono come metafora del disagio sociale. GoaMagazine ha intervistato il musicista in un dialogo che ha portato alla luce riflessioni e progetti futuri, come il biopic su di lui e Aldo De Scalzi e le due collaborazioni con Alessandro Gassmann
di Alessia Spinola
GENOVA – È coraggioso e controcorrente il nuovo lavoro da solista di Pivio, “Misophonia“, ultimo atto di una serie di album dedicata alle “devianze” sensoriali iniziata con Cryptomnesia (2020) – disco realizzato in piena pandemia – e proseguita con Pycnoleptic (2023), il primo album italiano mixato in dolby atmos nativo. Nove brani, di cui tre cover, per esplorare l’intolleranza al suono come metafora del disagio sociale: la “Misophonia” di Pivio è un dialogo intimo con sé stesso che racconta attraverso la musica il dissenso verso i modelli produttivi attuali, con un ritorno alla centralità dell’esperienza musicale in quanto tale e al valore del disco come oggetto fisico reale. Il disco è disponibile da sabato 23 novembre in vinile trasparente e in digitale hd, distribuzione Audioglobe su etichetta I dischi dell’espleta. Ad accompagnarlo, solo alcuni semplici visual di supporto all’ascolto.
L’album è stato realizzato prevalentemente in solitaria, con il contributo di un ampio ensemble di archi in tre tracce: il brano d’apertura Wildest Dreams, il centrale The Words I Say e il conclusivo Start Again. “Misophonia“, come anticipato, include tre cover: In the Art of Stopping dei Wire, Never Understanding dei Jesus and Mary Chain e What Use dei Tuxedomoon. I testi di queste canzoni sono stati utilizzati come spunto creativo in modo decontestualizzato negli altri sei brani, le cui liriche vedono spesso la collaborazione di Marco Odino, ex membro del gruppo new wave Scortilla.
In occasione dell’uscita di Misophonia, GoaMagazine ha avuto il piacere di intervistare Pivio per approfondire i temi e le ispirazioni che hanno dato vita al suo nuovo progetto. Un dialogo che ha permesso di esplorare il significato profondo dell’intolleranza al suono come metafora del disagio sociale e la scelta coraggiosa di andare controcorrente, portando alla luce il desiderio dell’artista di suonare questa trilogia su un palcoscenico e il dubbio che questo possa essere il suo ultimo disco dal punto di vista della sua attività musicale, quanto meno solista. Inoltre, Pivio ci ha racconato che al Festival di Roma è stato proiettato per la prima volta un documentario che si chiama “Musicanti con la pianola”, diretto dal genovese Matteo Malatesta, che racconta proprio la storia di lui Aldo De Scalzi e che presumibilmente uscirà nelle sale intorno a fine febbraio o marzo. Tra i progetti futuri, anche due collaborazioni con Alessandro Gassmann.
Misophonia chiude un ciclo dedicato alle “devianze” sensoriali. Qual è stata l’ispirazione iniziale dietro questa trilogia e cosa rappresenta per lei quest’ultimo capitolo?
Ma in realtà la cosa è nata un po’ per caso, perché nel 2020, in piena pandemia, mi sono trovato davvero un sacco di tempo a disposizione e all’epoca avevo deciso di impiegare un po’ di questo tempo per realizzare il disco Cryptomnesia. Nel disco c’erano 11 brani che in qualche modo avevano dei titoli vagamente relativi a quel periodo che stavamo vivendo, ma in realtà nel disco non parlo mai di virus o di pandemia. I titoli nascondevano un significato e un testo che poi prendolo solo spunto da quel momento. Per esempio c’era un brano che si chiamava Mask, ma non parlavo delle mascherine che abbiamo imparato ad utilizzare. Poi nel 2023 inizia a entrarmi in circolo l’idea di scrivere qualcosa che richiamasse di nuovo un’altra possibile disfunzione, malattia sociale, quindi ho scritto Pycnoleptic. La picnolessia in questo caso invece è una forma di epilessia che attacca soprattutto gli adolescenti dai 6, 7 ai 12 anni ed è tale da renderli totalmente inattivi sia nell’attività motoria che in quelle cerebrali per alcuni secondi. Di solito poi questa malattia passa col tempo, però mi sembrava interessante perché poteva essere molto simbolica per quel periodo in cui diventava sempre più evidente una sorta di assenza etica e sociale distribuita nel mondo. A questo punto, avendo trovato due titoli abbastanza bizzarri, ho deciso che bisognava portare avanti questa idea con un terzo capitolo che è la misofonia e l’intolleranza al suono. Anche in questo caso è una specie di gioco, un simbolo, un pretesto per raccontare una sorta di desiderio da parte dei vari governi di bloccare il dissenso in quanto suono indesiderato. Come sempre il titolo racconta qualcosa, ma poi da lì parto per affrontare argomenti anche un po’ più seri.
Nove brani per esplorare l’intolleranza al suono come metafora del disagio sociale. Come ha tradotto un concetto così astratto in musica e testi?
Io credo che un artista, se si sente tale, se magari lo riconoscono come tale, in qualche modo dovrebbe cercare di uscire da possibili zone di comfort tipiche di una produzione pop che cerca poco il senso della discussione e il senso dell’affrontare le logiche sociali. In realtà, è stato abbastanza facile farlo, perché gli spunti che abbiamo giornalmente sono veramente fin troppo numerosi, dai conflitti tra territori, tra persone, tra i partiti politici. C’è molto a cui attingere. Questa volta mi interessava recuperare un meccanismo che avevo affrontato in mezzo a questi tre dischi, perché in realtà ne fatto un altro sempre l’anno scorso, che era un disco di cover che io ho chiamato “Ugly Covers”, e volevo in qualche modo trovare una sorta di possibile compromesso tra il fatto di realizzare delle cover e unirle però al materiale originale. Quindi sono partito da tre di queste, sono tutti pezzi che sono stati realizzati grossomodo all’inizio degli anni Ottanta. Ho, con Marco Odino, che mi ha dato una mano alla scrittura dei testi, ricontestualizzato alcune parole che erano presenti in questi testi per raccontare invece una storia totalmente diversa. Volevo trovare una sorta di punto di contatto tra questa idea che avevo di realizzare questi tre dischi di musica originale, con invece questo tentativo che ho fatto a novembre del 2023 in cui ho realizzato un disco che era una sorta di omaggio a brani che per me sono stati molto sensibili.
Per questo album ha lavorato quasi totalmente in solitudine. Com’è stato lavorare interfacciandosi con sé stesso? Ha scoperto nuovi lati di lei durante il processo creativo?
Io in realtà dal punto di vista musicale sono molto attivo nel mondo delle colonne sonore e quando lavoro soprattutto con Aldo De Scalzi, che è un socio storico, noi ci confrontiamo con decine e decine di musicisti nel momento in cui realizziamo la nostra colonna sonora. Questo per me è proprio una specie di spazio che mi sono disegnato un po’ per mettermi alla prova. Io non sono un grande esecutore, però mi piace giocare con gli strumenti, mi piace sperimentare nuovi suoni e sensazioni e questi dischi mi hanno permesso di fare questo. Poi ovviamente sono queste esperienze che presubilmente potrebbero entrare in gioco in futuro nelle mie esecuzioni legate alle colonne sonore. Questi 12 giorni che ho dedicato ogni volta per fare questi dischi, mi sono serviti come una sorta di autoterapia. I 12 giorni nascono dal fatto che quando abbiamo realizzato con Aldo la nostra prima colonna sonora, che era Il bagno turco, l’abbiamo realizzata in 12 giorni, non avendo la minima idea di quanto tempo servisse per realizzare veramente una colonna sonora e tantomeno la modalità con cui farla. Anche in questo caso l’approccio che ho avuto è stato quello sempre di partire e non sapere veramente cosa avrei fatto. Tutti i brani li ho sostanzialmente cantati una volta sola. Questo vincolo di 12 giorni diventa in realtà una forma quasi di libertà che mi obbliga, paradossalmente, ad essere estremamente creativo in tempi molto brevi, ed è per me un interessante modo di lavorare.
Lei ha definito l’album “misofonico” e niente affatto allineato con l’attuale modello discografico vincente. Come vive questa rivoluzione del marcato che sembra prediligere pezzi “da radio” lasciando indietro quelli che non rientrano nelle mode attuali?
In maniera molto contrastata e contrariata. Nel senso che io non è che sono contrario a una produzione anche un po’ più massificata che incontri un pubblico molto ampio, il problema che mi pongo, però, è che la sensazione forte che ho è che questo tipo di mercato abbia sostanzialmente annichilito tutto il resto. Non lascia altro spazio se non per una modalità di fruizione musicale che è quella che è. Non mi metto in competizione con questo mondo musicale che tra l’altro poi ho anche in qualche modo frequentato, però quello che trovo è che gli spazi che una volta c’erano per l’alternativa in questo momentonon ci sono più. Non ci sono nell’ambito della musica del vivo,non ci sono in radio e in televisione, non ci sono nella distribuzione, si è polarizzato tutto il mercato nei confronti di quella che è la musica che in questo momento non c’è. Quindi questo disco è totalmente all’opposto di quello che uno può pensare per avere successo. I brani non sono corti, non iniziano con il ritornello, non si sviluppano in due minuti , raccontano delle storie non d’amore e non parlano di soldi e sesso. Nella logica che spesso ha preso piede recentemente, parlano di argomenti diversi e lo fanno con una logica musicale che può sembrare anche antiquata, ma in realtà per me non lo è. A vedere alcune cose che succedono fuori dall’Italia ci sono artisti che continuano o che hanno iniziato a proporre una propria musica partendo da presupposti diversi da quelli del mercato vincente, ma in Italia no. Quindi io in maniera testarda, giusto per citare il buon Faber, mi muovo in direzione alternativa, sapendo che è una sorta di suicidio. Ne sono consapevole, però qualcuno deve farlo.
Nel descrivere “Misophonia” cita “l’arte di fermarsi”. Quanto è importante oggi avere il coraggio di rallentare in una società che spinge sempre a correre?
È un bel problema. Lo spunto nasce proprio da una canzone si chiama “The Art of Stopping”. La musica stessa in realtà vive i pieni e i vuoti, una musica tutta piena senza momenti di pausa rischia di essere alla lunga abbastanza insopportabile. Le dinamiche all’interno di un brano sono importanti. Il fatto di essere sottoposti all’ascolto di brani che non hanno questo momento di pausa interna me li fa diventare ancora più insopportabili. Io credo che fermarsi ogni tanto faccia molto bene perché permette di recuperare l’energia e di avere un momento di riflessione che può essere anche molto forte sul senso delle cose che uno fa e sul senso della vita. Non mi piace una società che viaggia sempre a 300 km all’ora, perché poi ad andare sempre troppo veloce si rischia di schiantarsi e lo schianto può essere molto doloroso. Io penso, non sono sicuro ma potrebbe essere, che questo sia il mio ultimo disco sul serio dal punto di vista della mia attività musicale, quanto meno solista. Poi continuerò sicuramente a fare altre cose con Aldo, ma mi domando, anche se l’ho fatto, che senso ha scontrarsi con un meccanismo così alieno al mio modo di pensare. Magari tra due anni o tra un anno o anche tra un mese cambio idea. Ci può essere coerenza anche nel fatto di cambiare il proprio atteggiamento. In questo momento sono molto preso dall’idea di riuscire a far ascoltare questo disco, con i mezzi che ho, però sto pensando adesso ad altro, non a cose musicali. Sto pensando ad altre modalità di espressione, come possono essere la scrittura e la pittura, quindi non so che cosa farò realmente. Mi piacerebbe fare qualche concerto perché ne ho fatti veramente troppo pochi da molto tempo a questa parte e stare sul palco mi piace. Avrebbe anche un senso in qualche modo portare sul palco quantomeno questi tre dischi, o magari anche qualcosa di più vecchio, perché darebbe ancora di più la sensazionedi un qualcosa che non è nato programmaticamente ma che poi ha dimostrato di essere unitario.
Alle spalle ha una lunga carriera come compositore di colonne sonore. Come si relaziona il suo percorso da artista individuale con quello più “cinematografico”? C’è una delle due dimensioni che preferisce?
No, sono situazioni molto diverse. Come dicevo prima, qui ho lavorato sostanzialmente in quasi perfetta solitudine: fare una colonna sonora per un film significa lavorare all’interno di un gruppo molto ampio dove anche la discrezione sulle decisioni da prendere può essere molto diffusa tra più persone, quindi è una modalità di lavoro totalmente diversa, con logiche di mercato totalmente diverse. Però il fatto che ad oggi ho scritto più di 200 film dimostra che mi divertono queste cose. È nata anche quello un po’ per caso perché in effetti Il Bagno Turco è nato per caso. L’altro ieri c’è stata la presentazione a Torino al Torino Film Festival di “Ho visto un re” di Giorgia Farina che ha già fatto diversi film molto interessanti, abbiamo presentato al Festival di Roma un film diretto dai Manetti Bros che uscirà in primavera, e sempre nello stesso Festival è uscito un altro film che si chiama “Notte fonda” di Giuseppe Miale di Mauro, di cui non so ancora nulla in termini di distribuzione. Al Festival di Roma è stato proiettato per la prima volta un documentario che si chiama “Musicanti con la pianola”, diretto dal genovese Matteo Malatesta, che racconta proprio la storia di Aldo De Scalzi e me, quindi è un documentario, una specie di biopic, ed è un film abbastanza strano anche questo che racconta più di 50 anni di storia musicale e più di 25 anni di storia del cinema, anche se poi in realtà torniamo anche indietro in un momento in cui noi non eravamo attivi ma vivevamo il mondo cinematografico come spettatori. Presumibilmente uscirà nelle sale intorno a fine febbraio o marzo, dopo l’uscita ad un altro Festival a cui teniamo molto che si chiama “See You Sound” e che viene fatto a Torino. Probabilmente porteremo ogni tanto questo film con anche una nostra partecipazione dal vivo. Lo faremo anche a Genova tra febbraio e marzo. Spero che poi questo documentario abbia una vita abbastanza lunga.
Il vinile trasparente e la semplicità del visual rimandano a una filosofia minimalista che oggi si potrebbe definire coraggiosa. Quanto è importante per lei un ritorno a un’esperienza musicale “pura” senza tante cornici che vanno a distogliere l’attenzione?
Per me è fondamentale, già il fatto che ho scelto di uscire con un vinile la dice abbastanza lunga perché, ancora più che il cd, il vinile richiede tutta una specie di cerimonia che ti obbliga all’ascolto. Se scegli di comprare un vinile vuol dire che tu decidi già di dedicare ogni tanto una ventina di minuti del tuo tempo per ascoltarlo, qualcosa di totalmente diverso dall’ascolto fuggevole che si ottiene attraverso le varie piattaforme. Il mezzo in questo caso rispecchia un mio tentativo di ritornare all’essenziale, ma un essenziale non distratto, un essenziale consapevole. Un mio amico che vende dischi a Genova mi diceva che dopo trent’anni ha ripreso a vedere un po’ di ragazzi che in qualche modo cercano un’alternativa plausibile di ascolto, quindi evidentemente è un messaggio, è un virus che si sta in qualche modo piano piano reintroducendo.
Con Aldo De Scalzi ha dato vita a un lungo sodalizio artistico e con le colonne sonore ha vinto diversi premi prestigiosi, come il David di Donatello, Nastro d’argento e, tra gli altri, Ciak d’oro. Avete in cantiere altre musiche che daranno voce a qualche altro film, magari per qualche regista in particolare?
Oltre a quelli di prima, è pronto già un altro film che andrà in onda su Rai1 di Alessandro Gassmann che reinterpreta a modo sui la pièce teatrale “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo. Sempre con lui in primavera lavoreremo al suo prossimo film di fiction per le sale.
Cosa rappresenta per lei la musica oggi, dopo decenni di carriera e trasformazioni personali e professionali?
Il fatto stesso che io abbia smesso in maniera anche improvvisa di continuare con la mia carriera da ingegnere per dedicarmi alla musica dimostra che per me la musica è davvero importante, ma lo è sempre stata, sin da piccolo. Mi ha sempre incuriosito il suono in quanto tale, l’ascolto è una cosa che mi interessa molto, potrei semplicemrnte ascoltare e non fare musica, c’è musica bellissima anche adesso.
Tracklist Misophonia
Lato A
- Wildest dreams 5:14
- In the art of stopping 3:38
- Fly to Rome 5:19
- Never understand 2:56
- The last song of side A 1:52
Lato B
- The words I say 5:43
- Nobody trusts art 6:21
- What use 3:57
- Start Again 4:30
Video online
Lato A:
1. Wildest dreams https://www.youtube.com/watch?v=Csbm8bC4qLU
2. In the art of stopping https://www.youtube.com/watch?v=QHf9MqAAOlY
3. Fly to Rome https://www.youtube.com/watch?v=7BhCOSPuvDI
4. Never Understand https://www.youtube.com/watch?v=8WWmiV_GJXs
5. The last song of the side A https://www.youtube.com/watch?v=hXo9kv2Kfrc
Lato B:
6. The words I say https://youtu.be/FogCVZ-8PXo?si=fTysDtNL19y-XMW–
Pivio (nome d’arte di Roberto Giacomo Pischiutta) è ingegnere elettronico, esperto di informatica musicale e compositore. Attualmente è presidente di ACMF (Associazione Compositori Musiche per Film) che annovera al suo interno le più importanti firme italiane del settore. Da ottobre 2022 è Consigliere di Gestione della SIAE. Con Aldo De Scalzi ha dato vita a un lungo sodalizio artistico nel campo della musica per film. Ottenuta la notorietà internazionale con il film d’esordio Hamam – Il bagno turco di Ferzan Ozpetek (1997), compone circa 200 colonne sonore per cinema e tv. Con Song ‘e Napule dei Manetti Bros vince, nel 2014, il David di Donatello, il Nastro d’argento, il Globo d’oro ed il Bifest per la migliore colonna sonora. Sempre per i Manetti Bros firma con Aldo De Scalzi il musical Ammore e malavita (le cui musiche hanno vinto, nel 2018, due David di Donatello, due Nastri d’argento e due Ciak d’Oro). Ha al suo attivo, tra le altre, le serie televisive di Distretto di Polizia e L’ispettore Coliandro. Parallelamente all’attività cinematografica, ha realizzato numerosi dischi solisti. Con Aldo De Scalzi fonda l’etichetta discografica I dischi dell’espleta e la società di produzione ed edizioni musicali Creuza. Insiema sono protagonisti del film di matteo Malatesta “Musicanti con la pianola”, presentato al Roma Film Festival 2024.
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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