Due personali illuminano Palazzo Stella: le mostre di Stefano Grondona e Franco Dallegri

Di il 27 Marzo 2019

GENOVA – L’arte viva a Palazzo Stella dove il centro di promozione culturale SATURA inaugura, sabato 30 marzo, due mostre personali degli artisti Stefano Grondona e Franco Dallegri.

“E scese il buio con le sue paure”

S’inaugura sabato 30 marzo 2019 alle ore 17 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra personale di Stefano Grondona “E scese il buio con le sue paure” a cura di Mario Napoli. La mostra resterà aperta fino al 10 aprile 2019 con orario dal martedì al venerdì 9.30–13.00/15.00–19.00, il sabato 15.00–19.00.

A proposito della condizione esistenziale dell’artista, a cui spesso viene collegato il binomio genio e sregolatezza, è emblematica la vicenda di Stefano Grondona. Figura controversa ed eclettica, la cui prerogativa a distinguersi dal contesto di ricerca contemporaneo non è esternazione di vanità, ma l’ennesima dimostrazione del suo essere visceralmente aderente a ciò che crea: Grondona ha fatto della propria vita un’opera d’arte e delle sue opere la vita. Credo siano calzanti per definire la sua visione le parole che il critico Flavio Caroli dedica a De Dominicis: “Gino era bizzarro, perché la vita è bizzarra. Direi anzi che il suo pensiero più profondo consisteva nell’identificazione, direi quasi nella formalizzazione, delle bizzarrie della vita, che – per lui – coincidevano con il senso della vita stessa.”

Quello che si apre è un mondo capovolto in cui realismo e visionarietà si fondono fino a sovvertire le regole. Per capire la produzione di questo artista, si devono ripercorrere le tappe che hanno portato alla realizzazione dei lavori che oggi rappresentano la sua cifra stilistica ed un esempio avanguardistico unico in Italia e forse nel mondo.

Appassionato da sempre di disegno, Grondona si avvicina alla pittura e, dopo aver abbandonato il liceo artistico perché insufficiente a soddisfare la sua bramosia creativa, si dedica alla fotografia. Saranno proprio le sperimentazioni tecniche in questo ambito a determinare la sua visione in negativo della rappresentazione. Oltre la fotografia tradizionale, l’artista, anche influenzato dalle esperienze di Paolo Gioli e dalle indagini sul foro stenopeico, elabora una tecnica di incisione fotografica in cui, dopo aver realizzato un negativo di cartone, sviluppa l’immagine su carta emulsionata tramite esposizioni consecutive con l’ingranditore. Da qui deriva la tecnica dell’intaglio di cartoncini e successivo montaggio degli stessi in sequenza che oggi connota il suo lavoro: l’immagine che si ottiene è data dalla sovrapposizione dei vari strati, ma in negativo, poiché Grondona intaglia ed elimina la parte rappresentata, i pieni, realizzando un’operazione di sottrazione. Non solo, la profondità che viene ad acquisire l’opera determina un anamorfismo che ne accentua, esasperandola, la prospettiva interna. Sotto questo punto di vista è evidente anche l’influenza del cinema che permette all’opera di acquisire una sua valenza spaziale. La struttura dell’opera contribuisce alla sintesi perturbante delle figure simulando la normale visione impositiva della pellicola.

Obiettivo principale dell’artista è suscitare un forte impatto psicologico che diventa, perciò, simile alla luce che impressiona la pellicola e attiva un meccanismo mentale tra l’opera e lo spettatore. Il suo modo di vedere e di comporre non conosce regole, entrare nell’universo immaginifico di Grondona, significa abbandonare l’ambito delle certezze e fronteggiare ambiguità di visione e, quindi, di comprensione perché l’insegnamento cardine è che non ci deve essere per forza un senso così come accade nella vita. Come testimoniano le sue parole: “Tale è l’enormità delle notizie che mi arrivano dalla superficie del nostro pianeta, tale, appunto, che mi costringe a variare costantemente nella produzione, con periodicità estrema: arrivo a quelli che chiamo degli “apparenti opposti” e cambio continuamente i soggetti; non ho una vera tematica se non la visionarietà.”

Nella sua concezione l’arte è evoluzione costante, da cui deriva la ricerca continua di curiose associazioni visive ed inedite invenzioni che stupiscano e destabilizzino, ma nonostante questo ci sono temi che ricorrono come il dualismo amore e morte, l’assurdità dell’esistenza, il confronto con Dio, la violenza, la satira sociale, l’ipocrisia, la miseria della condizione umana, oltre a riferimenti musicali, letterari e cinematografici desunti dal suo immenso bagaglio culturale. Il senso tragico della vita che permea la sua arte lo lega istintivamente alle figure di Bacon, Munch e Van Gogh, che sono riferimento ed allusione in molte delle sue opere. Tutto alla fine converge ad alimentare il dubbio, l’enigmaticità simbolica, la percezione di catastrofe imminente. Grondona mette a nudo, con ironica crudeltà, la consapevolezza che la vita, in realtà, è una condanna (Testo critico a cura di Flavia Motolese).

“Tra sogno e realtà”

S’inaugura sabato 30 marzo 2019 alle ore 17.00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra personale di Franco Dallegri “Tra sogno e realtà” a cura di Flavia Motolese. La mostra resterà aperta fino al 10 aprile 2019 con orario dal martedì al venerdì 9.30–13-00/15.00–19.00, il sabato 15.00–19.00.

La scultura rappresenta un unicum tra le forme artistiche poiché – a differenza della pittura che può raffigurare su un supporto per lo più bidimensionale anche l’intuizione fantastica scevra da qualsiasi vincolo compositivo – pone nello spazio reale una creazione fittizia che però è soggetta agli stessi fenomeni fisici di qualunque altro corpo solido.

Il lavoro di Franco Dallegri è la perfetta esemplificazione di questi concetti e di come la presa di coscienza di tali aspetti, solo in apparenza scontati, rappresenti, per un artista, la più grande sfida dell’impulso di materializzazione plastica del pensiero

Partito dal disegno e da una pittura figurativa di stampo realista, è approdato negli anni ad una rappresentazione sempre più semplificata e geometrizzante. Impegnato da sempre nello studio dei Maestri, si è concentrato sulla ricerca della pura forma quale veicolo conoscitivo del mondo, interessandosi in particolare all’interazione nello spazio tra volumi e a quella tra diversi piani prospettici.

La produzione scultorea degli ultimi due anni è il risultato di una progressiva evoluzione delle sue  sperimentazioni: il suo utilizzo di una tecnica pittorica con fondo materico, simil-affresco, gli ha permesso un approccio plastico alla materia di cui il modellato è stato il naturale sviluppo.  La sequenza dell’elaborazione plastica ha seguito una trasformazione simile a quella pittorica. Il tentativo di riprodurre, in maniera più o meno mimetica, la figura umana seguendo la lezione di Michelangelo, Bernini e Rodin ha prodotto esiti di stampo classico che hanno lasciato il posto via via ad una rilettura sintetica della raffigurazione tendente verso forme geometrizzanti. L’artista si muove ancora una volta su un sottile confine tra astrattismo e figurazione, in un continuo gioco di suggestioni che enunciano l’oggetto più che costituirlo, affiancate dal gusto per l’interrelazione armonica tra i diversi segmenti strutturali.

Ogni opera è costituita da un pezzo unico di argilla che viene scolpito per via di levare, senza alcuna parte aggiunta successivamente e senza svuotare la struttura portante. Da questo deriva in parte lo svolgimento verticale dell’opera, ma anche la spiccata pulizia visiva che predilige linee fluide in grado di definire volumetrie elementari.

La progressiva stilizzazione della figura, ridotta al suo prototipo primario su cui si innestano aperture di spazi vuoti, denotano l’interesse dell’artista a definire forme dinamiche e articolate fondate sull’intreccio degli elementi spaziali. Il mosaico di superfici, concave e convesse, alternate ad aree piane con diverse inclinazioni, oltre a produrre l’illusione di un movimento d’involuzione della forma su se stessa, esalta l’azione scultorea della luce. Proprio quest’attenzione per le potenzialità percettive delle superfici, è un tratto distintivo che lo pone su un piano diverso rispetto alle più diffuse tendenze della ceramica, che prediligono la smaltatura; lo studio e la continua sperimentazione sulla patinatura a freddo con pigmenti, cere, ossidi o bitume gli hanno permesso di raggiungere in alcune sculture un sublime acme di effetti cromatici e di ombreggiature. Anche l’elegante decorazione delle superfici, presente in alcuni lavori, richiama quell’approccio disegnativo libero che prosegue parallelamente nella produzione pittorica su tavola.

Il linguaggio espressivo maturato, che assimila in parte i principi del Cubismo di scomposizione dell’oggetto o di simultaneità prospettica di visione, permettendo di creare dei paralleli con le opere di Henri Laurens e Jacques Lipchitz, rappresenta la summa delle ricerche formali che Dallegri ha svolto in questi anni. La sua aspirazione di interrogare la realtà, per saperla rappresentare artisticamente, trova in queste sculture un ulteriore superamento poiché, grazie alla duttilità dell’argilla, è riuscito a tradurre la subitaneità di un’idea, trasformando l’immaginario in materia. L’intuizione più mirabile dell’artista appare, quindi, quella di saper far coincidere nelle sue opere materia, pensiero, forma, volume e lirismo.

C.S.

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