IL BENE E IL MALE NELL’ERA DEL DIO DENARO
Fino a stasera al Teatro della Tosse è in scena “Il macello di Giobbe”, prima nazionale del Teatro Valle Occupato che affronta il tema della crisi economica in termini biblici
di Claudio Cabona e Chiara Tasso
Nel regno del Dio Denaro esistono ancora “il bene” e “il male”? Dove si trova il confine che li separa? “Il Macello di Giobbe è un testo che nasce da alcune suggestioni, da alcune domande e dall’esperimento di una modalità nuova di scrivere il teatro. Mi interessava studiare il Libro di Giobbe senza sapere dove questo mi avrebbe portato, mi interessava il confronto col sacro, col mistero, con Dio. Mi interessavano la crisi economica, gli incomprensibili meccanismi della finanza, apparentemente assurdi, talmente assurdi da costituire un’anti-teologia” così il regista Fausto Paravidino definisce il nuovo spettacolo, andato in scena al Teatro della Tosse tra gli applausi e il coinvolgimento del pubblico. Dopo la rappresentazione a Bruxelles nell’ottobre 2014, lo spettacolo del Teatro Valle Occupato è stato presentato a Genova in prima nazionale e andrà in scena ancora stasera alle 20.30 nella Sala Trionfo del teatro di piazza Negri.
Una rappresentazione che mette la lente di ingrandimento sul tema della crisi economica da un punto di vista nuovo; sullo sfondo di un “macello” biblico, di cui sono vittime il buon Giobbe e la sua famiglia, due dei si affrontano: il Dio dell’avvenire, quello del figlio di Giobbe, che ha studiato Finanza e insegue gioie effimere come il sesso senza amore o i soldi facili, e il vecchio Dio stanco, quello che Giobbe interpella, e che resta muto e indifferente.
Un dramma che racconta la storia di Giobbe, padre di famiglia e proprietario di una macelleria, costretta a chiudere i battenti a causa della crisi economica. Piegato dalla crisi e dai debiti con le banche, su consiglio del figlio (interpretato dallo stesso Paravidino) – andato negli Stati Uniti per studiare finanza e simbolo della nuova generazione – Giobbe è costretto a licenziare il garzone della bottega, che è per lui come un figlio; il senso di colpa per il gesto compiuto lo perseguiterà per tutta la vita. Il protagonista, come il personaggio biblico di cui porta il nome, diventa così l’emblema del dolore, della scelta e del sacrificio. Paravidino mette in contrasto il vecchio mondo arcaico, dai forti valori ma spesso un po’ ottuso, con il nuovo, capace di qualunque azione pur di emergere o risolvere problemi; due generazioni che fanno i conti con una società trasformata, in cui l’unica divinità riconosciuta è quella del Dio Denaro. Un mondo nuovo, dove il consumismo e il capitalismo diventano le uniche religioni possibili, al centro del quale si trova l’uomo. Un uomo smarrito, che tenta di sopravvivere rincorrendo un ricordo, ma nella corsa esasperata viene privato dei vestiti, del poco denaro che possiede e di se stesso. Un viaggio religioso e al tempo stesso laico, dove il confine fra giusto e sbagliato si ribalta e viene continuamente messo in discussione, e che mette i protagonisti a confronto con la materia, con il metafisico, ma soprattutto con se stessi. Ottima prova di tutti gli attori che riescono a raccontare e a raccontarsi in modo efficace. Un testo coraggioso e che guarda al nostro tempo, finalmente. Da vedere.

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