Teatro Modena, L’Antigone di Anouilh nello specchio di Latini. La recensione

Di il 5 Dicembre 2025

Di Francesca Lituania

GENOVA – La serata di ieri al Teatro Modena ha accolto la rilettura intensa dell’Antigone di Jean Anouilh nel contesto della XXI edizione del Festival dell’Eccellenza al Femminile. Lo spettacolo, diretto da Roberto Latini (fondatore di Fortebraccio Teatro e pluripremiato ai Premi Ubu), si configura come una disamina graffiante e desolata della condizione umana e dell’essenza (ousía) dell’esistenza, quest’ultima definita “concerto di voci all’ombra del nulla”. L’allestimento sottolinea il dualismo dell’opera, il sì contro il no, l’assoluto contro il relativo, con la destrutturazione dei ruoli e dei generi, che concentra l’attenzione sul significato universale dei personaggi, quelli maschili interpretati da donne e quelli femminili da uomini, come a sottolinearne la specularità. Latini stesso interpreta Antigone, che diventa semplicemente azione, il suo spirito non ha genere, è il “No” assoluto, che non ha sesso, non ha gerarchia ed è pericoloso. Francesca Mazza è l’interprete di Creonte, figura stanca del potere, che incarna l’Istituzione e il Compromesso, ossessionata dalla pulizia (si presenta con una lucidatrice in scena) e dall’ordine come a voler ricollocare tutto il mondo al posto corretto sancito dalle leggi. Nel retropalco, una fermata dell’autobus diventa simbolo duale di sosta e attesa, il telefono è il messaggero del sì e i televisori diventano portatori di sì o di no nella recita della vita. La sorella di Antigone, Ismene e la nutrice (Manuela Kustermann direttrice del Teatro Vascello), si muovono come marionette seguendo la teoria del sì, del dovere, delle regole di Creonte. Il fidanzato di Antigone, Emone, interpretato da Ilaria Drago (co-fondatrice di Fortebraccio Teatro), si presenta trainando un cavalluccio a dondolo, vestito di azzurro novello principe azzurro, il figlio del sì. Nella rilettura dell’Antigone di Jean Anouilh (1910-1987), la cui carriera si divide in cicli tematici che egli stesso nominava con colori – dalle Pièces roses, leggere e fantastiche, alle Pièces noires (cui appartiene Antigone), drammi che includono anche Eurydice e Médée – Latini affronta il testo senza riscrivere le parole dell’autore, ma scrivendone ex novo “la voce”, ponendo l’interrogativo fondamentale: “essere uomini o essere umani”. L’opera, scritta nel 1941 e portata in scena a Parigi nel 1944, nel cuore dell’Occupazione nazista della Francia e del regime collaborazionista di Vichy, è una rielaborazione della tragedia di Sofocle in chiave moderna, strettamente legata al contesto storico, politico e filosofico dell’epoca. In quel clima di censura e collaborazionismo, l’ambientazione mitologica permetteva ad Anouilh di affrontare temi politici attraverso un codice allegorico, domandando indirettamente alla Francia oppressa: lottare per un ideale e morire, o accettare la realtà a favore della sopravvivenza?. Anouilh si riscrive il mito greco per riflettere sui drammi contemporanei, il suo è un Teatro di Dissonanza che alterna toni tragici a toni ironici,  con un dialogo schietto, Il linguaggio, dissonante ma discorsivo, è stato descritto dalla critica come un anacronismo che rende i personaggi più moderni. Nella prosa di Latini, esso declina in causticità e graffiatura, quasi stridore. L’ Antigone del 1941 è un dramma in un atto unico che segue lo scheletro della trama di Sofocle – Antigone si scontra con suo zio, il re Creonte, che ha proibito la sepoltura del fratello Polinice, considerato un traditore, e appellandosi alla legge morale superiore (“non scritta”) lo seppellisce, venendo condannata a morte – ma ne modernizza i temi e il linguaggio. La struttura utilizza un Prologo in cui un narratore presenta tutti i personaggi, è il Coro che descrive i personaggi anche fisicamente in modo quasi asettico, annuncia subito l’ineluttabilità di ciò che sta per accadere  “E ora, sono tutti qui. E l’affare sta per cominciare. Si chiama tragedia. E siamo tutti innocenti. Questo è ciò che di più orribile ha la tragedia: in essa non c’è colpa, c’è solo un ruolo, e ciascuno sta per recitarlo fino in fondo.” Il coro compare nuovamente a metà del dramma con fatalismo e catarsi : “È pulita, la tragedia. È riposante, è sicura… non ci sono più speranze; si comincia appena, ed essa [la tragedia] sa già tutto”, è riposante perché si sa che “la speranza è una faccenda ignobile, una truffa della vita”. Il dualismo di Sofocle tra Nomos e Physis viene rinnovato mettendo a confronto l’Assoluto e il Relativo: Antigone è l’eroina dell’ “assoluto”, del rifiuto di ogni compromesso, la cui scelta di morire, è una rivolta esistenziale contro la mediocrità della vita adulta e della realtà, in cui si ritrova l’eco di certi disagi giovanili contemporanei:  “Voglio tutto, subito, e che sia intatto. Altrimenti, non voglio niente” e “Io dico no! E io posso, io sola, perché tu, tu l’hai detto sì”. Creonte non è il tiranno assoluto di Sofocle, ma è un uomo stanco e disilluso che ha accettato il potere per senso del dovere, sporcandosi le mani per mantenere l’ordine, afferma lucidamente “È un mestiere sporco, certamente. Un mestiere da fare in fretta” e pragmaticamente “Bisogna pur che qualcuno accetti di far pulizia. E io l’ho accettato “, rappresentando in Anouilh le ragioni del collaborazionismo, tentando inutilmente di convincere Antigone ad accettare la “felicità comoda e sporca” di una vita “normale “. Questo scontro tra convinzione e responsabilità è il motore del dramma, che Anouilh tiene ambiguo per via della censura, permettendo sia ai tedeschi che ai membri della Resistenza di identificarsi nei rispettivi protagonisti e a Latini far provare al pubblico assonanza con ciascuno di loro. Nell’edizione di Latini le scene di Gregorio Zurla e il sound design di Gianluca Misiti (frequente collaboratore di Latini) amplificano lo scontro della ribalta; l’acustica è volutamente alta e impattante, mentre l’uso della sabbia/terra in scena richiama l’atto proibito della sepoltura, simboleggiando la fluidità delle leggi umane e della vita che scorre rapida se non la si stringe nelle mani. Il Coro si riduce a descrittore, lontano dal deìnos sofocleo, è la voce della mediocrità, l’uomo non è più “prodigioso”, l’eroe non è più monotropos, tutti siamo lo specchio di tutti. Le Guardie i tre soldati rappresentano la banalità del male, l’obbedienza cieca, ottusa e arrivista rappresentando gli esecutori dell’autorità occupante in Anouilh, e la grettezza piatta del sì in Latini. L’Epilogo è la punizione di Creonte, condannato a vivere solo e per il suo ‘mestiere’, in una eternità dove il compromesso si ripete all’infinito, senza lasciare spazio al vero io, all’empatia o al sentimento. Gli attori scendono in platea sfondando la quarta dimensione dando una profondità al dramma che sottolinea quanto Antigone o Creonte e a volte l’uno e l’altra insieme siamo tutti noi. La conclusione è amara: le Guardie tornano ai loro problemi quotidiani, indifferenti al dramma. Questa chiusura cinica conferma l’amara verità di Antigone: che l’eroismo non cambia il mondo  perché “La vita, se non l’afferri subito, è un affare sporco che ti scivola tra le dita”. A chiusura dello spettacolo i televisori in scena compongono la frase che le scelte che facciamo ci condizionano e, con l’aggiunta di un ultimo schermo sul finale, l’affermazione diventa: le scelte che non facciamo ci hanno portato a questo. Andrea Rodighiero è il curatore della traduzione, mentre Max Mugnai (Luci e direzione tecnica) e Gianluca Sbicca (Costumi) completano il team creativo di questa produzione di La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello e Teatro di Roma – Teatro Nazionale. Latini, nel presentare lo spettacolo, ha sottolineato: “Antigone è nel destino del Teatro di ogni tempo. È uno dei modelli archetipici che ci accompagnano a prescindere dalla nostra storia, cultura, religione, visione. È filosofia scesa intorno a noi, che ci cammina accanto, che ci chiede, che ci ascolta”, chiosando che a teatro si parla sempre di “essere uomini o essere umani”.

Antigone di Jean Anouilh

Teatro Gustavo Modena

Produzione

La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Traduzione

Andrea Rodighiero

Regia

Roberto Latini

Interpreti

(in o.a.) Silvia Battaglio, Ilaria Drago, Manuela Kustermann, Roberto Latini, Francesca Mazza

Scene

Gregorio Zurla

Costumi

Gianluca Sbicca

Musica e suono

Gianluca Misiti

Luci e direzione tecnica

Max Mugnai

Su Redazione

Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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