Lasciate ogni speranza voi che vi salvate: Thelma e Louise e l’illusione della libertà
di Francesca Lituania
GENOVA – L’ultima scena del film di Ridley Scott, la Thunderbird in dissolvenza sospesa nel vuoto sopra il Grand Canyon, che la si voglia interpretare come atto di ribellione, impossibilità di emancipazione femminile nel contesto sociale dei primi anni novanta o una vittoriosa conquista della libertà, lascia lo spettatore con l’inconscia speranza che Thelma e Louise si siano salvate in qualche rocambolesca quanto impensabile maniera. Da qui inizia il racconto di Angela Di Maso (sceneggiatura) e Consuelo Barilari (regia): le due amiche si sono salvate e dall’Arizona hanno trovato la loro libertà in quella chimera messicana vagheggiata per tutto il Road Movie. L’idea è stimolante ,incuriosisce e fa sperare che Thelma e Louise finalmente si siano realizzate in un mondo che le accoglie per quello che sono, abbiano sviluppato le loro capacità, rafforzato la loro identità e invece nulla di quello che lo spettatore auspica accade. Le due protagoniste si trovano in un luogo paradisiaco di sole, mare e Margarita ma vivono nell’inferno del loro passato, tra i rimorsi di omicidio, odio per gli uomini, quasi una bisessualità inconsapevole (o no?), Louise, la voglia di fuga che diventa un’ecolalia, la ridicolizzazione feroce del marito, il ricordo persistente dell’unico sesso di qualità con Brad Pitt (perché non usare il nome del personaggio del film J.D.?), il trauma del tentato stupro mai superato, Thelma. Le due antieroine, che sono diventate un’icona cinematografica di emancipazione e affermazione del proprio io, diventano a teatro due donne perdenti, psicotiche e confuse, si vogliono vendicare del mondo maschile usando lo stesso catcalling tanto osteggiato nel film, allestendo una casa di piacere per donne grottesca nella sua esposizione di “esemplari maschili” e servi di scena palestrati, gioiscono nell’essere nuovamente inseguite da quella società che le voleva ingiustamente punire senza attenuanti e trovano la loro dimensione nella fuga e una novella casa in una Fiat bianca incidentata, ma questa volta tutto è senza speranza, muoiono davvero e diventano due lucciole (o fuochi fatui?) in un cielo stellato in cui vagheranno insieme per sempre (“lieto” fine o supplizio di tantalo?). Gli applausi strappati al Duse ieri sera sono principalmente dovuti alla bravura delle attrici Sara Bertelà e Galatea Ranzi che, forse per supplire alla scenografia poco discorsiva, hanno connotato i personaggi con una recitazione molto marcata. Si risale il corridoio del teatro con l’amaro in bocca per la speranza definitivamente rotta e molta confusione sul messaggio che si voleva trasmettere. Sebbene l’incipit facesse bene sperare e l’idea fosse stuzzicante, lo svolgimento e il finale lasciano quantomeno perplessi gli spettatori e probabilmente Callie Khouri la penserebbe uguale.
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