ROAD TO SUPERNOVA: KAUFMAN, “LE CITAZIONI? UN FILO TRA AUTORE E PUBBLICO”
Parte con l’intervista a Lorenzo “Kaufman” Lombardi, paroliere e voce della band bresciana, il “Road to Supernova”, rubrica in cui saranno intervistati tutti i protagonisti del Festival
GENOVA – Kaufman come uno sceneggiatore Premio Oscar, Kaufman come il capostipite dell’anti-humour americano e Kaufman come una band dall’anima eclettica e cinefila, che lascia poco al caso. A novembre è uscito il loro terzo album, “Belmondo”, preceduto dal singolo “L’età difficile”, entrato immediatamente nella playlist “Indie Italia” di Spotify. I Kaufman (Lorenzo Lombardi, Alessandro Micheli, Matteo Cozza e Simone Gelmini), suoneranno per la prima volta a Genova sabato 21 aprile, al Supernova Festival del Porto Antico.
Lorenzo, il nome “Kaufman” si ispira all’amato/odiato comico Andy Kaufman. In che modo vi rappresenta o cosa intendete comunicare con questo nome?
Lorenzo “Kaufman” Lombardi: «non c’è una vera e propria esigenza comunicativa: questo progetto musicale si chiama “Kaufman” fin dall’inizio, anche quando i componenti erano diversi. Andy Kaufman è una figura di grande fascino per la sua follia, per il suo mood. Chiaramente non l’ho vissuto (morì nel 1984, ndr), ma l’ho conosciuto tramite il film “Man on the moon” con Jim Carrey, nel quale è presente anche l’omonima canzone dei R.E.M. Oltre a questo, il nome suona molto bene, il che, come succede anche nei testi, è molto importante».
Il vostro ultimo album, “Belmondo”, è un chiaro riferimento a Jean-Paul, attore francese. In che modo possiamo incontrarlo nel disco?
L: «c’è un riferimento preciso a Jean-Paul Belmondo: la canzone “Senza fiato”, che è una sorta di mia traduzione in musica di uno dei film caposaldo della Nouvelle Vague: “Fino all’ultimo respiro”, in cui lui è protagonista. In questo caso i rimandi al film vogliono scrivere una sorta di sceneggiatura, sulla quale si instaura una storia d’amore personale. È un modo per creare un linguaggio e una serie di significati comuni tra chi scrive e chi ascolta. Questo è il mio modo di scrivere, le citazioni non sono mai fini a sé stesse».
Non hai mai nascosto la tua tarantiniana inclinazione al citazionismo. In “Belmondo”, che universi possiamo incontrare?
L: «sono infiniti. In alcuni pezzi sono più chiari, come in “Robert Smith”, in cui cito e faccio una sorta di parodia di “Friday I’m in love” dei Cure, o in “Ragazzi di vita”, in cui richiamo Pasolini. In altre gli universi sono più velati: in “Macchine volanti” c’è un riferimento a “Rimmel” di De Gregori («Le mie labbra continua a spedirle a questo indirizzo, se ti va»). Come dicevamo prima, ogni parallelo non è mai fine a sé stesso, ma vuole tracciare un filo comunicativo tra l’autore e l’ascoltatore. È come se costruisse un linguaggio per “adepti”».
Rimanendo in tema “cosmico”, nei vostri album troviamo pezzi come “Luna”, “Astronauta”, “Alpha Centauri” e, perché no, “Santa kryptonite”. Lo spazio sembrerebbe avere un significato particolare, cosa rappresentano questi paralleli?
L: «quest’aspetto era più presente negli album precedenti, in questo è andato un po’ a scomparire. Da adolescente ho letto tantissima fantascienza degli anni Cinquanta, che mi passava mia mamma, professoressa di italiano. Le immagini di scienza o fantascienza, così come i riferimenti ai fumetti, intendono raccontare qualcosa di assoluto, reale e quotidiano, ma in un linguaggio che parte da altre sfere».
Il 9 marzo avete fatto uscire una versione di “L’età difficile” con la YouTuber Asia Ghergo. Com’è nata questa collaborazione?
L: «ogni volta che esce un pezzo che fa parte del mondo indie, o indie-pop, c’è uno stuolo di youtuber che produce cover. Ne ho sentite decine di “L’età difficile”, suonate anche con una tecnica incredibile e per questo lontane dal senso della canzone, che racconta qualcosa di più immediato, come la fine di un amore o la fine dell’estate. Quella di Asia mi ha colpito più di tutte: la spontaneità di prendere una chitarra in mano e cantare nella propria cameretta ha saputo rendere al meglio “l’urgenza” del pezzo. È riuscita splendidamente a farla sua, in un modo poetico, semplice e diretto».
Il video di “L’età difficile”
Il 21 aprile sarete al Supernova Festival, a fianco degli Zen Circus. E proprio come loro, anche tu inizialmente scrivevi in inglese. Per Appino, il passaggio tra le due lingue incontrò l’imbarazzo dell’esprimere i propri sentimenti in una lingua conosciuta a tutti gli ascoltatori. È stato così anche per te o è stato più immediato?
L: «capisco benissimo il punto di vista di Andrea, che tra l’altro stimo moltissimo. Cantare in italiano ti mette sì a nudo, ma dall’altro lato ti permette di comunicare in maniera più diretta. E qui ritorna l’urgenza: quando si raccontano certe immagini, devono arrivare immediatamente, come uno schiaffo nel momento in cui si sente la nota. In più, per quanto possa conoscere bene l’inglese (lavoro quotidianamente con persone che lo parlano), mi rendo conto di non aver la stessa proprietà di linguaggio di un madrelingua, e di non poter scavare, come faccio con l’italiano, nella natura delle parole».
È un problema di contesto culturale su cui vanno a posizionarsi le parole?
L: «esatto, e per spiegarmi al meglio faccio sempre l’esempio del “Giovane Holden” di Salinger, il cui titolo inglese è “The catcher in the rye”. “Catcher” è il ricevitore nel baseball, “rye” è la segale, dalla quale viene fatto il whiskey. Due emblemi della società statunitense, intraducibili nella nostra lingua e nella nostra cultura. Se proprio volessimo tradurlo non letteralmente, potrebbe essere “Il terzino del Chianti”, ma non avrebbe niente a che fare con il significato iniziale. Certi ragionamenti è possibile portarli avanti solo nella propria lingua».
Su Giulio Oglietti
Cresciuto tra la nebbia e le risaie del Monferrato, è a Genova dal 2013. Laureato in Informazione ed editoria, collabora con GOA da luglio 2017. Metodico e curioso, è determinato a diventare giornalista. ogliettig@libero.itUn commento
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