IL REGISTA PIZZECH DEI MILLE DEL PONTE: «LO SPETTACOLO RACCONTA GENOVA, MA ANCHE L’ITALIA»

Di il 2 Febbraio 2023

Intervista al regista della pièce che ripercorre le tappe del crollo del Morandi e della sua ricostruzione

Di Elisa Morando

GENOVA – Tragedia e distruzione. Poi, ricordo e ricostruzione. I Mille del Ponte, spettacolo in scena al Teatro Gustavo Modena di Sampierdarena dal 31 gennaio al 5 febbraio 2023, racconta una Genova colpita dal drammatico crollo del Ponte Morandi, ma anche e soprattutto una Genova che si rialza dalle macerie, costruendo il Ponte San Giorgio. Una città che riparte grazie alle mille figure chiave – professionisti, ingegneri, operai, notai – che hanno reso possibile la ricostruzione del viadotto in tempi record. Da un’idea di Pietrangelo Buttafuoco e un testo teatrale di Massimiliano Lussana, è nata una storia, a metà tra il teatro e la canzone, diretta da Alessio Pizzech. È a lui che abbiamo chiesto di raccontarci questa storia.

Come nasce e in che modo si sviluppa l’idea di realizzare uno spettacolo sulla ricostruzione del Ponte Morandi, oggi ribattezzato Genova San Giorgio?

Il progetto è nato da un’idea del giornalista Pietrangelo Buttafuoco che, dopo averne parlato con Massimilano Lussana, decise di partire a costruire uno spettacolo con l’attore e musicista Mario Incudine. Io sono entrato in corsa, soltanto in un secondo momento. Si trattava di trasformare il recital, il libro I Mille del Ponte scritto da Lussana, in uno spettacolo vero e proprio, per la realizzazione del quale Mario ha deciso di contattarmi. 

In qualità di regista, anche se sei chiamato in un progetto non tuo, inizi a domandarti perché raccontare e che cosa scegliere di raccontare. Dopo essermi fatto tante domande ho capito che è una storia che ha bisogno di essere raccontata, soprattutto in un Paese come il nostro. 

È appena trascorso il Giorno della Memoria, occasione in cui non ci si stanca mai di rimarcare quanto sia importante ricordare. Il rischio nel ricordare fatti tragici come quello del Ponte Morandi è però sempre quello di cadere nella retorica. Si può raccontare senza monumentalizzare?

Noi ne I Mille del Ponte parliamo di rinascita ma anche di un ponte che non c’è, quello sullo Stretto di Messina. Il teatro ha la funzione civile di dirci come vanno gli eventi, ma senza prendere una posizione, ci dice quali sono le tappe attraverso le quali un fatto è accaduto. Il teatro è una memoria viva, vitale. Significa stare dentro la realtà, nel presente e non solo nel passato. 

In questa storia ci sono tutte le contraddizioni di due Italie che vanno a due velocità. Un Paese in cui un ponte viene costruito in due anni e un altro non viene costruito affatto.

Chi sono i “mille” del Ponte?

I “mille” sono i tanti volti delle tante persone che hanno lavorato per la costruzione del Ponte San Giorgio. Penso che certe vicende mettano in gioco la dimensione della comunità, in determinate situazioni non ne esce uno solo, ma per forza ci si esce tutti insieme, ciascuno dà un proprio contributo.

I mille sono le tante persone che hanno lavorato alla costruzione così come i Mille sono stati quelli che sono partiti da Quarto insieme a Garibaldi con il sogno di unificare il Regno d’Italia. È la molteplicità che determina la possibilità di trasformazione della Storia. Il ponte di cui parliamo non è solo il San Giorgio, è un ponte simbolico. 

Il suo lavoro registico fonde spesso parola e musica. In che modo la musica è entrata in questo spettacolo?

Mario Incudine aveva scelto canzoni dalla dimensione pop. Genova è senza dubbio patria della musica d’autore, popolare. In questa nuova versione, ho tolto alcune cose e ho cercato dei riferimenti, delle immagini poetiche che si unissero alla narrazione del testo, che illuminassero sul senso non solo delle canzoni ma anche della storia. Le canzoni d’autore hanno segnato la storia personale di ciascuno di noi, rappresentano dei tasselli.

È un flusso di racconto che viaggia su due linguaggi, quello narrativo e quello musicale. Tra i brani ci sono Creuza de ma e Notti di Genova, ma anche La Storia siamo noi di De Gregori e Petra lavica di Kaballà, canzone in siciliano che racconta la difficoltà di viaggiare in una terra come la Sicilia, dove un ponte non c’è.

Uno spettacolo che farà ridere e piangere. Cosa si deve attendere lo spettatore? Una fedele ricostruzione dei fatti o una formula originale del teatro-canzone?

C’è la bellezza del teatro-canzone, che ti apre a tante dimensioni. Si ha a che fare, come accade spesso nel teatro, con tanti registri, su cui si deve lavorare. Si deve instaurare un rapporto con lo spettatore e accompagnarlo nelle altre dimensioni che si aprono. Il pubblico vivrà da una parte la commozione per la partecipazione ad un rito collettivo, dall’altra la consapevolezza della necessità di ironia. Con questo spettacolo non vogliamo esibire o usare il dolore, ma essere il mezzo di questa storia.

Si tratta di una morte ingiusta, non si può discutere. Ho provato più volte a immedesimarmi nel punto di vista di chi ha perso, ma non è possibile. Però noi che siamo qui ora dobbiamo domandarci “E quindi?”. Dobbiamo cercare un senso a questa tragedia, che un senso non ce l’ha. Se proprio dovessimo trovarlo potremmo dire che è un appello a noi vivi ad essere più responsabili e consapevoli di quello che facciamo, a costruire ponti che abbiano un senso. Sembra quasi un contrappasso il fatto che ora il San Giorgio, solo dopo il Morandi, sia «Il ponte più controllato del mondo» come dice Incudine durante lo spettacolo. Ma cosa vuol dire davvero ricostruire?

-Ha conosciuto Lussana, autore del testo teatrale nato dall’idea di Buttafuoco, soltanto lunedì alla presentazione. Un atto di fiducia cieca da parte dell’autore. Ha quindi lavorato in autonomia?

Credo che gli autori debbano scrivere e poi lasciare al regista la possibilità di lavorare sul testo. A volte un testo può funzionare sulla carta o nella lettura ad alta voce ma trovare difficoltà di realizzazione sullo spazio scenico. Ormai sono abituato a questo tipo di lavoro, a questo salto nel buio che mi lascia un contatto personale con il testo.

Genova sarà il primo palco ad ospitare I Mille del Ponte. Ci sono altre tappe in programma?

Spero che questo spettacolo vada in tournée per poter parlare con più persone possibili e diventare nazionale. Che sia un racconto dell’Italia e non solo di Genova. Al momento non sono ancora stabilite delle tappe ma speriamo di avere un buon riscontro qui a Genova per poi partire e continuare a raccontare questa storia.

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