I NUOVI VALLANZASKA: «”L’ORSO GIALLO” E L’ORA DELLA MATURITA’»

Di il 20 Luglio 2017

 

In tour per presentare il disco in uscita a settembre e per festeggiare i venticinque anni dalla fondazione, il gruppo di “Cheope” questa sera suonerà a Villa Bombrini nell’ambito di Pop Sagra Urbana

 

Sono i pionieri della musica ska in Italia e dopo venticinque anni il pubblico sotto il palco chiede ancora i tormentoni che li hanno resi famosi. Stiamo parlando dei Vallanzaska, gruppo milanese fondato nel 1991 da Davide Romagnoni (voce) e Lucio Contini (chitarra), che stasera alle 20:30 salirà sul palco di Villa Bombrini nel contesto della rassegna musicale Pop Sagra Urbana (ingresso libero). Una vita dedicata allo ska, dieci album in studio e decine di hit ballate in tutte le discoteche rock: i Vallanzaska oggi tornano in tour per presentare il nuovo album “L’Orso Giallo”, in uscita il prossimo settembre per Maninalto! Records, e per festeggiare i 25 anni di attività.

 

Per l’occasione, la band è pronta a rimettere in discussione il sound, gli arrangiamenti, lo stile e la scrittura delle canzoni, a partire dal primo singolo estratto, “Quando è gatta”, un antipasto della nuova direzione stilistica dei Vallanzaska. La canzone è un viaggio scherzoso fra i luoghi comuni sul giardinaggio per affrontare il tema della legalizzazione dell’erba in maniera divertente, con un ritornello che è un tipico tormentone alla Vallanzaska, ma con un sound più pop-rock rispetto ai lavori passati. A restare invariati sono lo ska e l’ironia, due mondi che contraddistinguono da sempre lo stile della band milanese.

 

Abbiamo incontrato il leader Davide “Dava” Romagnoni per parlare del tour, del nuovo disco e delle nozze d’argento con i Vallanzaska. Ecco quello che ci ha raccontato.

 

Questo tour è anche un’occasione per festeggiare i 25 anni di carriera: come erano i Vallanzaska nel 1991?

 

«Eravamo dei liceali, dei diciottenni appassionati di ska che con un po’ di ribellione e provocazione hanno scelto come nome del gruppo quello di uno dei più ricercati criminali milanesi. Io e Lucio Contini suonavamo in due band distinte, ma quando ci siamo conosciuti le abbiamo unite dando vita ai Vallanzaska, con la kappa naturalmente».

 

Perché proprio il nome di Renato Vallanzasca?

 

«Beh, da buoni diciottenni quali eravamo abbiamo scelto di chiamarci Vallanzaska un po’ per provocazione un po’ perché ci piaceva il suono: finendo in –sca poteva venirci utile per il genere che facevamo, lo ska appunto. Ci siamo ispirati al personaggio Vallanzasca in quanto uomo “contro”, al di là di quello che poi ha combinato negli anni. Lo abbiamo anche conosciuto da ergastolano e gli abbiamo dedicato diverse canzoni, come “Apologia di Renato”, “Boys from Comasina” e “Fine amore mai”».

 

Come sono i Vallanzaska oggi?

 

«Sicuramente siamo cresciuti, ma prendiamo ancora le cose con lo stesso entusiasmo di allora. Oggi, ad esempio, ci ritroviamo nella situazione già vissuta molte volte dell’uscita di un nuovo disco: giriamo parecchio e siamo carichissimi. Per usare una metafora culinaria, dopo essere stati tanto tempo in cucina, siamo finalmente pronti per sfornare e servire la torta. Siamo pronti, le canzoni ci piacciono molto e probabilmente segneranno un po’ una svolta nella nostra carriera».

 

In che modo “L’Orso Giallo” si distingue dai lavori passati?

 

«Con questo disco abbiamo deciso di sperimentare anche altri suoni; sono 25 anni che facciamo ska e con questo album è arrivato il momento di affrontare e accogliere nuove influenze musicali diverse. Naturalmente è sempre chiaro il timbro Vallanzaska, il nostro linguaggio e l’ironia che da sempre contraddistingue i nostri testi, però da un certo punto di vista era arrivato il momento di diventare grandi».

 

Quali motivazioni vi hanno guidato in questa scelta?

 

«La volontà di esplorare nuovi suoni, senza rimanere ancorati a un genere, a un’etichettà che era lo ska. A un certo punto un musicista si trova ad alzare lo sguardo, osservare l’orizzonte e pensare “ora provo a raccontare questo viaggio con un linguaggio diverso”. Con questo disco abbiamo raggiunto una sorta di maturità, mantenendo però invariato lo stile Vallanzaska che ci caratterizza: una nostra canzone, che sia ska, che sia reggae, che sia dub, rappresenta sempre uno strumento per il nostro linguaggio e il pubblico lo riconosce».

 

Tra i temi affrontati nel disco c’è anche quello dell’ansia. Quali sono le vostre paure?

 

«Passando tanto tempo assieme, in viaggio sul furgone, ci capita spesso di parlare di quello che succede nel mondo. Nel disco esprimiamo i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni sui principali fatti d’attualità del mondo odierno, ma sempre con chiave ironica. Ci sono canzoni che parlano delle recenti elezioni americane, di Trump, di politica sporca e di fantapolica, fino a quelle che trattano il tema del terrorismo. Raccontiamo quello che vediamo e che viviamo. Inoltre, dal punto di vista personale, qualche anno fa ho vissuto un’esperienza traumatica in Egitto, quando sono stato detenuto per diversi giorni in una prigione senza alcuna colpa apparente, se non quella di aver scattato una foto all’aeroporto. Questa esperienza mi ha scosso e ha ispirato dei pezzi del nuovo album. La musica è espressione dell’emotività, è normale che un periodo difficile si ripercuota sul tuo modo di scrivere e di comporre una canzone».

 

A proposito dell’esperienza in Egitto, è vero che ti hanno rilasciato dopo averti sentito suonare Three Little Birds di Bob Marley?

 

«Tutto vero! Durante la detenzione, fatta di costanti interrogatori, io continuavo a dire che ero un cantante. Alla fine, quando mi hanno liberato, hanno voluto la prova che quello che dicevo fosse vero. Mi hanno messo tra le mani una chitarra, ho iniziato a canticchiare “don’t worry about a thing ‘cause every little thing gonna be al right” e mi hanno lasciato andare».

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Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Claudio Cabona, Giovanna Ghiglione e Giulio Oglietti. Le foto sono a cura di Emilio Scappini. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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