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DAVIDE MANCINI INTERPRETA GIRARDENGO IN “COSTANTE, LA NUVOLA”: «IL TEATRO È UN LUOGO PREZIOSO DOVE CI SI DIVERTE»

L’attore andrà in scena il 2 dicembre al Teatro Il Sipario Strappato ad Arenzano in un viaggio nel mondo del ciclismo che ripercorrerà le vicende del primo “Campionissimo” e inviterà gli spettatori a inseguire i propri sogni
di Alessia Spinola
ARENZANO (GE) – Il Teatro come un luogo non solo dove riflettere, ma anche un luogo dove divertirsi ed emozionarsi: è questa la missione di Davide Mancini, attore che il 2 dicembre interpreterà Costante Girardengo in “Costante, la nuvola”, spettacolo di Marco Rinaldi e Lazzaro Calcagno prodotto dal Teatro Il Sipario Strappato ad Arenzano. L’opera è realizzata in occasione del 130esimo anniversario della nascita di Girardengo e sul palco l’attore sarà insieme all’artista genovese Fefe. Quello che andrà in scena sarà un viaggio nel mondo del ciclismo che ripercorrerà le vicende del primo “Campionissimo” ed è proprio l’attore Davide Mancini a raccontarci di più di questo personaggio, ripercorrendo la sua carriera attoriale e svelandoci i suoi sogni e le sue paure.
“Costante, la nuvola” è un viaggio nel mondo del ciclismo in onore del primo “Campionissimo” Costante Girardengo, cosa dobbiamo aspettarci da questa messa in scena?
Da questa messa in scena ci dobbiamo aspettare il racconto sicuramente della vita di Costante Girardengo, ma anche di quanto possa esserci un parallelismo alla vita pensando allo sport del ciclismo. Un uomo che è riuscito a costruirsi un successo grazie alla costanza, alla fatica e al sudore, andando anche un po’ contro il padre che voleva che intraprendesse una vita con un lavoro un po’ più comune, invece lui con la sua caparbietà è riuscito a diventare un ciclista professionista e guadagnare bene, come dice durante lo spettacolo. Forse lo spettatore ne uscirà lottando con costanza e pensando di poter ancora realizzare i propri sogni.
Nello spettacolo, un giovane giornalista incontra Girardengo e grazie ai suoi racconti avventurosi finisce per innamorarsi del ciclismo da che lo screditava, crede che lo stesso possa accadere con il teatro portando i più giovani a vedere gli spettacoli e facendogli così abbandonare certi stereotipi che si hanno sul mondo della recitazione?
Quella è la mia missione. Io ho scelto di intraprendere questa strada perché mi voglio mettere al servizio della comunità per far arrivare il messaggio che il teatro è un luogo prezioso dove si può ancora credere, pensare, riflettere e magari in modo empatico portare quello che vediamo per poter poter migliorare quello che poi facciamo nel quotidiano. Io credo fortemente che i giovani vedendo “Costante, la nuvola” possano pensare che andare a teatro è bello, non ci si annoia, come invece spesso si dice.
In “Costante, la nuvola”, quanto di lei c’è in Girardengo e quanto di Girardengo c’è in lei?
Tanto, e l’ho scoperto facendolo, perché all’inizio ero scettico quando Lazzaro Calcagno ha pensato a me. Il regista, però, è stato bravissimo perché ha colto le sfumature della mia anima e le ha prestate al personaggio di Costante Girardengo. Inoltre, io mi sono legato sempre di più al personaggio perché ha quella costanza e quella forza che un attore deve avere, soprattutto nei momenti più complicati che spesso accadono a chi intraprende la carriera artistica.
Questo spettacolo è il terzo che fa insieme al regista Lazzaro Calcagno, dopo “Camilla” nel 2011 e “Cocaina” nel 2017. Cosa si prova a rincontrarsi di nuovo per lavorare a spettacoli e a personaggi così diversi tra loro?
Innanzitutto si prova un senso di fiducia e di accoglienza perché quando conosci bene un regista e lo stimi poi ti lasci anche guidare con più facilità e sai che lui in qualche modo ti proteggerà. Poi è tutta una questione di empatia, delicatezza, sensibilità, quindi sto bene perché vado in un luogo protetto, in un luogo dove so che posso esprimermi e mostrare le mie qualità, delicatezze, paure e fragilità, sempre trattate con enorme rispetto.
Com’è nata l’idea di intraprendere la carriera attoriale? Ha qualche attore in particolare come punto di riferimento?
È nata in un modo un po’ bizzarro perché io volevo lavorare nel mondo del turismo e non pensavo di far l’attore. Sono stati poi i miei insegnanti delle scuole superiori a vedere questa mia sensibilità e a convincermi a intraprendere questa strada, quindi devo dirgli grazie perché sono stati molto attenti e senza la loro attenzione forse non avrei approfondito questo mio percorso. Poi Simona Garbarino ha visto in me queste qualità e mi ha spinto a provare ad entrare dentro il Teatro Nazionale di Genova e mi aiutato preparando il provino, quindi è anche un po’ per colpa sua se mi ritrovo a fare da quattordici anni l’attore professionista.
Lei ha recitato non solo per il teatro, ma anche per il cinema e la tv. Quale di questi ambiti le piace di più?
Mi piacciono tutti. Il cinema e la tv mi piacciono perché ho avuto la fortuna di lavorare con grandi maestri e con registi molto capaci che mi hanno insegnato ancora di più il mestiere, quindi lavorando in ambienti così importanti è impossibile non amare il cinema e la televisione, puoi soltanto rimanerne affascinato. La mia missione è ben precisa: amo tutte e tre le situazioni e vorrei utilizzare la visibilità che in questo momento mi stanno dando il cinema e la televisione per portare più pubblico a teatro e mostrare il teatro che mi piace, un teatro che possa far riflettere e divertire. È quindi la scatola che ti da quella visibilità che oggi il teatro non riesce più a darti, per poi riportare tutto alla radice di partenza, ovvero quella poesia magica che solo un luogo teatrale riesce a donarti.
Ormai è da numerosi anni che recita a teatro, è cambiato negli anni il suo rapporto con il pubblico oppure prova ancora l’emozione dei primi spettacoli?
L’emozione non va via, forse è proprio quella che non mi fa staccare dal teatro. È talmente bello quel battito cardiaco che aumenta prima di salire sul palcoscenico e iniziare a raccontare una storia, ma che poi piano piano si tranquillizza e ti senti più a casa, come se ti sedessi sul tuo divano. Questa tranquillità arriva nell’ascolto che si ha col pubblico, e quando senti che il pubblico è in silenzio, che è con te e che sta vivendo la storia ed è coinvolto, allora lì sei padrone, ed è bellissimo perché li porti dove vuoi, sai che in quel momento siete un corpo unico. Quello che è cambiato è che ora ho più consapevolezza dei miei mezzi, agli inizi ero un po’ più dubbioso sulle mie qualità e su dove potessi arrivare attraverso la mia arte, oggi invece cerco di utilizzare al meglio i mezzi che ho a disposizione per conquistare il pubblico.
Una volta in un’intervista disse: “la cosa più difficile è quando torni a casa e devi fare i conti con il silenzio”. Prova ancora questa paura?
Si, nel senso che il silenzio fa paura a tutti perché è l’amico più profondo, quello che ti mette più a contatto con le tue viscere, con la tua anima. Fare i conti con il silenzio vuol dire essere una persona che ha la forza di rispondere anche alla domanda più scomoda. Il silenzio è difficile da gestire quando le cose non vanno benissimo perché non è un silenzio amico, quando le cose vanno bene il silenzio lo si sente meno, quindi fa sempre un po’ paura.
Risceglierebbe di intraprendere la carriera da attore nonostante le difficoltà oppure se potesse tornare indietro sceglierebbe un’altra strada?
No, non cambierei perché mi sento molto vivo. Poter fare ciò che sogni e ciò che hai sempre sperato di realizzare è una grande vittoria e molto spesso rinunciare non vuol dire perdere, però significa tradire la parte innata di te che ha sempre voluto ambire alla sua massima aspirazione. Io non tornerei indietro soltanto perché è bello poter andare a lavorare e avere una forte emozione, sognare e stare sempre con gli occhi aperti.
Lei si è diplomato nel 2009 presso la scuola di recitazione del Teatro Stabile di Genova, dove tra l’altro è da poco iniziato il nuovo corso di formazione. Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere?
Di essere spugna, di non avere giudizio e di prendere tutto quello che gli insegnanti bravi riescono a donare. Molto spesso ci si chiude per paura del giudizio, per la speranza di essere il più bravo o per la mancanza di comunicazione, e secondo me nel periodo di formazione l’arte dev’essere quella di essere una spugna, di prendere le sconfitte e le vittorie, di accettare i giudizi negativi e positivi e andare avanti, assimilando il più possibile.

Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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