“CONFESSIONE DI UN UBRIACONE DAI PIEDI BUONI”, IL DEBUTTO IN LIBRERIA DEL CHIAVARESE NICOLA CAVAGNARO

Di il 6 Marzo 2019

Al centro del romanzo l’ascesa e il declino di un giovane talento inglese. L’autore: «la luce? Non è il successo, ma la capacità di non arrendersi».

GENOVA – Un calciatore inglese, salito subito alla ribalta e sfiorito altrettanto rapidamente tra il Mar d’Irlanda, i pub, Londra e il fango dei campi di provincia. È Jimmy Sullivan il protagonista di “Confessione di un ubriacone dai piedi buoni”, romanzo d’esordio di Nicola Cavagnaro, giornalista e scrittore chiavarese.

Jimmy Sullivan è un calciatore inglese, mancato e “maledetto”. Dove comincia la sua storia?

La copertina di “Confessione di un ubriacone dai piedi buoni”

«La storia di Jimmy inizia a East Dongey, la piccola isola dove è nato e dove ha passato i primi anni della sua vita. È da qui che parte tutto, dallo scalcagnato campo tra le colline a ridosso sul mare. Si tratta di un luogo di fantasia, un’isola che non esiste. East Dongey e Jimmy Sullivan sono i principali elementi fittizi della storia, per il resto è tutto reale, a partire dalle squadre in cui Jimmy ha militato, le partite del suo Chelsea. L’isola è “costruita” a tavolino, mettendo insieme pezzi di luoghi che ho visitato e mi hanno colpito, tutti caratterizzati da un’atmosfera molto inglese: le isole Aran in Irlanda, il villaggio di Le Conquet in Bretagna, le spiagge dell’Armorica».

L’esordio col Chelsea, l’under 21, i titoli di giornale. Poi alcol, cattive frequentazioni e violenza, e parte il declino. Come si spegne il fuoco di Jimmy e perchè?

«Jimmy è un perdente nato. E ha tutte le attenuanti del caso, o perlomeno ne ha molte. È stato abbandonato dal padre, ha vissuto in un luogo molto provinciale ed è stato catapultato a Londra molto giovane, senza nessuna esperienza e con un sacco di soldi tra le mani. Immagino che sia molto difficile gestirsi in condizioni come quelle. Ovviamente non è colpa solo della situazione e del suo passato, Jimmy ci mette del suo, facendosi abbagliare dalle luci della ribalta e trovando come fido compagno un amico molto pericoloso, l’alcol. Il tutto aggravato dall’incontro con una donna sbagliata».

C’è una luce in fondo al tunnel?

«Il romanzo non dà indicazioni particolari su questo punto. A ognuno le sue conclusioni. C’è però un altro personaggio, nel libro, che è un po’ il rovescio della medaglia di Jimmy. Anche lui è un calciatore, seppure molto meno dotato del protagonista, che fa di tutto, si impegna fino in fondo per realizzare il suo sogno di diventare un professionista. Se la luce in fondo al tunnel c’è, è sicuramente incarnata da questa figura stoica e determinata. Per certi versi, la luce non è il successo, ma la capacità di non arrendersi».

Da dove hai tratto spunto per “Confessioni di un ubriacone dai piedi buoni”?

«Sono molto appassionato di calcio inglese, della sua tradizione, della passione dei tifosi. L’ambientazione è di grande fascino, ho sempre adorato quei paesaggi uggiosi e malinconici. Il mio giocatore preferito, credo si sia capito, è George Best. La sua vita sicuramente mi ha ispirato la figura di Jimmy. Poi, volendo raccontare una storia di calcio e alcolismo, l’Inghilterra mi sembrava il luogo ideale per l’ambientazione. L’ispirazione, chissà perchè, mi è venuta mentre leggevo per l’ennesima volta “Diario di un killer sentimentale” di Sepulveda».

La vicenda è raccontata attraverso una serie di testimonianze e interviste, raccolte da un giovane giornalista. Qual è il suo ruolo nel romanzo e come il tuo lavoro ha influenzato la narrazione?

«Qui credo si tratti di un caso di deformazione professionale. Facendo il giornalista, sono portato a scrivere testi abbastanza brevi, sintetici, che vadano dritti al punto (o almeno, che provino a farlo), e a usare l’intervista, il discorso diretto come strumento principale. È uno stile che mi piace, o forse è l’unico che in qualche modo padroneggio.
In più, l’espediente del giornalista permette di dare brevi ritratti del personaggio da diversi punti di vista, da angolazioni molto differenti, evitando di dare un’immagine unica, magari un po’ rigida. Il mio obiettivo era che il lettore si chiedesse: “Ma chi è Jimmy, davvero?”».

Su Giulio Oglietti

Cresciuto tra la nebbia e le risaie del Monferrato, è a Genova dal 2013. Laureato in Informazione ed editoria, collabora con GOA da luglio 2017. Metodico e curioso, è determinato a diventare giornalista. ogliettig@libero.it

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