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AL GUSTAVO MODENA «UNA PICCOLA ODISSEA NEL MEDITERRANEO»: STEFANO PASQUINI RACCONTA “TEATRO NATURALE? IO, IL COUSCOUS E ALBERT CAMUS”
Questa domenica la produzione del Teatro delle Ariette sarà ospite del Nazionale nell’ambito del “Festival dell’Eccellenza al Femminile”. L’intervista al regista e interprete dello spettacolo per scoprire una serata di spettacolo a tavola tra letteratura, cucina e storia
di Giorgia Di Gregorio
GENOVA – A tavola ci si raccontano storie, si mangia insieme e prima ancora si cucina insieme. Questa è l’esperienza che il Teatro delle Ariette porta domenica 26 ottobre al Teatro Gustavo Modena nell’ambito del “Festival dell’Eccellenza al Femminile”. In scena, o meglio, in tavola un racconto autobiografico che viaggia nel Mediterraneo tra le pagine de “Lo Straniero” di Albert Camus, la cucina familiare e la naturalezza del sentire e dell’agire umano. Una storia che racconta la Storia e altre storie.
In una chiacchierata con Stefano Pasquini, regista e interprete dello spettacolo, GOA Magazine è andato a cercare nel cuore dell’intreccio narrativo dello spettacolo i temi fondamentali trattati, l’importanza della condivisione e della vicinanza con il pubblico e le dissonanze e somiglianze con l’originario Camus e la Storia.
“Teatro naturale” è uno spettacolo narrativamente intrecciato, in cui il passato si mescola al presente per parlare del presente. Ci può raccontare a grandi linee i binari su cui si muove l’opera?
Il titolo esatto dello spettacolo è “Teatro naturale? Io, il cous cous e Albert Camus” perché raccontiamo una storia autobiografica di quando io avevo 17 anni e sono andato in Francia. Lì ho un po’ incontrato me stesso, ho scoperto un mondo mediterraneo, il piatto del couscous e la letteratura di Albert Camus. Quindi i tempi che si intrecciano sono quelli dell’estate 1978 in cui è avvenuto questo viaggio, e tutti i tempi che ho incontrato in questo viaggio. È una sorta di piccola Odissea nel Mediterraneo, perché andando in Francia in realtà vado ospite di una famiglia che è di origine spagnola. Ci vado seguendo una ragazza. I suoi genitori sono nati in Spagna e il padre ha fatto la guerra civile spagnola; siccome era un anarchico, un ufficiale dell’esercito repubblicano, con la dittatura di Franco è dovuto scappare ed è andato in Algeria. Dalla metà degli anni ’50 con la Guerra d’Indipendenza dell’Algeria dalla colonia francese lui scappa di nuovo e va a finire in Francia.
Quello è il tempo che va all’indietro e poi c’è il tempo che va avanti che è quello del mio racconto, perché il racconto lo facciamo oggi e i temi che lo attraversano purtroppo sono sempre di grande attualità: la convivenza civile di popoli differenti, anche i grandi temi esistenziali della vita, della morte, dell’amore perché In Francia io scopro “Lo Straniero” di Albert Camus e mi innamoro di questo libro. Quindi nel racconto di questo percorso si inseriscono anche delle pagine: il racconto della scoperta di questo libro.
Questo spettacolo lo portate in giro dal 2012 e per molti versi è molto attuale. Si può parlare di una ciclicità del teatro come ciclicità della storia?
Forse come paragone e un po’ azzardato: la storia sicuramente si muove in uno sviluppo lineare, ma anche per cicli, spesso ritornano delle cose, o almeno ritornano in quanto simili; il teatro accompagna i tempi, e quindi accompagnando il tempo presente può essere considerato ciclico. Ma in questo caso non parlerei di questo. Noi seguiamo di fatto una poetica che portiamo avanti dal 2000 in cui mescoliamo l’autobiografia e l’aspetto performativo del teatro, cioè del qui, dell’ora e dell’attimo presente. Anche la forza drammaturgica del cibo come cucina, elemento di incontro e di condivisione. Questa è un po’ la strada che continuiamo a portare avanti.
“Lo Straniero” di Albert Camus gioca un ruolo importante nello spettacolo. In quale misura queste riflessioni emergono nello spettacolo? Quanto Meursault c’è nel “Teatro naturale”?
Ce n’è, e molto, perché è veramente parallelo alla figura del protagonista, cioè la mia figura. Io leggo questo libro e trovo un’identificazione molto forte. Sento che la sensibilità del protagonista di questo romanzo somigli alla mia, e malgrado Meursault venga considerato un personaggio apatico, indifferente e insensibile, io penso esattamente il contrario: penso che questo personaggio non sia per nulla pratico non sia per nulla di indifferente neanche insensibile. È proprio un essere che vive la sua vita in maniera naturale, in maniera sensuale si abbandona alla natura, alla relazione con gli altri. Quindi va avanti lo spettacolo su binari paralleli, proprio perché il protagonista credo che mi assomigli, o meglio, io assomiglio al protagonista.
Il tema della cultura è indubbiamente rilevante nella vostra opera. Lo spettacolo si intitola “Teatro Naturale”, Camus parla di uomo naturale, quella che emerge dello spettacolo la possiamo definire una cultura naturale?
Quando noi parliamo di teatro naturale parliamo di un teatro che cerca le sue origini: da dove scaturisce il bisogno di teatro? Noi crediamo che il bisogno di teatro nasca dal bisogno di condividere dell’uomo, condividere con altri la vita ma anche il pensiero. Quindi andiamo alla ricerca di un teatro fatto di cose molto semplici ma profonde, cioè il racconto di un’esperienza e la sua condivisione in uno spazio altrettanto condiviso, dove non c’è separazione tra attori e spettatori, dove siamo tutti nella stessa luce, allo stesso livello. Non c’è un palcoscenico e una platea. Cerchiamo questa originarietà, che in qualche modo noi definiamo come naturale. Il teatro sgorga nelle vite degli uomini come necessità e lo fa naturalmente cercando di rispondere a questo bisogno della comunità di specchiarsi insieme, di ritrovarsi e di condividere il suo pensiero.
E cosa c’è di più naturale di mangiare? Che ruolo gioca la preparazione sul palco del cous cous e la condivisione con il pubblico?
È un gesto che noi difatti compiamo tutti i giorni, più o meno, visto che qualcuno di questi tempi ha fatto molto fatica col mangiare e sta facendo molta fatica col mangiare. Ci sono zone del mondo dove questo non è così evidente però, come hai detto tu, resta un elemento profondamente naturale. Naturale come il nostro bisogno di parlare, come il nostro linguaggio, come la comunicazione quando usiamo la parola. È proprio un livello dove la cosa che condividi è una cosa che tocchi una cosa che “facciamo insieme”, perché gli spettatori ci aiuteranno a preparare le verdure per questo cous cous. È veramente una dimensione molto materiale. E dunque anche partecipativa: in fondo il teatro è un rito e secondo noi questo rito prevede che degli attori lo portino avanti, ma che anche gli spettatori, con la loro presenza e a volte anche con la loro azione, lo sostengano.
Un invito al pubblico per venire ad assistere e a partecipare allo spettacolo.
L’invito è questo: noi viaggiamo con delle storie, viaggiamo con la nostra cucina e apriamo questa cucina. Il nostro invito è di venire a trovarci a casa nostra, nella nostra cucina che per l’occasione sarà sul palco del Gustavo Modena. Sarà lì e vi aspetta per accogliervi, per darvi da bere, da mangiare e raccontarvi delle storie. Una storia in particolare, questa di “Io, il cous cous e Albert Camus”.
Teatro naturale? Io, il couscous e Albert Camus va in scena domenica 26 ottobre alle 19.30 al Teatro Gustavo Modena. Per maggiori informazioni visitare il sito.
Produzione
Teatro delle Ariette 2012
Regia
Stefano Pasquini
Interpreti
Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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