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Lidi porta a Teatro Nazionale Williams: il “Tetto che Scotta” della verità
di Francesca Lituania
GENOVA – Cosa accade quando la rete di bugie e repressioni diventa l’unico collante di una famiglia, i cui membri, uniti solo dall’opportunismo e dall’ implacabile leitmotiv del denaro, vivono in un isolamento emotivo totale? Al Teatro Nazionale di Genova è andato in scena ieri sera l’allestimento de “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams, diretto da Leonardo Lidi. Fin dalla sua genesi, l’allestimento si è posto l’obiettivo di dissezionare il capolavoro del 1955 (scritto nel 1954), eliminando ogni traccia di sentimentalismo per raggiungere l’essenza corrosiva e restituire la tagliente brutalità del testo originale. Questa rappresentazione si inserisce nel solco del Progetto Čechov di Lidi, che ha già coinvolto attori come Giuliana Vigogna e Giordano Agrusta (entrambi presenti ne “La Gatta”) individuando nell’opera la stessa disfunzione morale presente nelle opere del drammaturgo russo. Il progetto è consistito in un ciclo di tre produzioni teatrali tra i grandi capolavori di Anton Čechov (Il Gabbiano, Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi): Lidi ha scevrato le opere dall’interpretazione romantica, sostituendo il sentimentalismo con la cruda rappresentazione della solitudine e dell’incomunicabilità, il cui focus registico si concentra sulla generazione perduta dei giovani falliti e disillusi. Tematiche che trovano una perfetta incarnazione nella famiglia Pollit di Williams. La scelta di riportare in scena l’autore statunitense è strettamente connessa con il presente: in un’epoca ossessionata dall’apparenza, l’opera è uno specchio impietoso sull’ipocrisia sociale, un ritratto attualissimo della falsità umana. Il regista, avvalendosi della traduzione fedele di Monica Capuani, non si concentra, come Williams, sulle tradizioni del “Sud Gotico” in declino (dove famiglie come i Pollit, con la loro ricchezza rozza, rappresentano la nuova borghesia), ma dà vita a un Kammerspiel atemporale: l’aria è claustrofobica, densa di bugie, recriminazioni, ricordi e grida inespresse. La scenografia asettica (Nicolas Bovey), una stanza rivestita di pannelli marmorei, potrebbe essere la stanza di una clinica, di un avello, di un ospedale psichiatrico. Questo spazio ambiguo si popola progressivamente di bottiglie che offrono una forma tangibile, sempre più numerosa e soffocante, alla rabbia dei personaggi. Questa rabbia, pur essendo silenziata e sul punto di esplodere, finisce inevitabilmente per svaporare nell’incomunicabilità. Il regista ha inoltre rivelato la sua intenzione di rispondere a un pressante tema contemporaneo, dichiarando: “Quando ho letto sui giornali, pochi mesi fa, il ritornello della donna che deve sentirsi realizzata solo in quanto madre, ho deciso di rispondere con La gatta sul tetto che scotta”. L’odierna pressione a eccellere socialmente ed economicamente genera un senso cronico di inadeguatezza e insoddisfazione. L’ansia di dover ricoprire un ruolo si traduce in un aumento della cattiveria, dell’incomunicabilità, della frustrazione di dover essere “altro” da se stesso: l’individuo, concentrato unicamente sull’apparire, perde di vista l’importanza cruciale dell’empatia e della spontaneità. La “gatta” Maggie è stata interpretata da Giulia Vigogna (per indisposizione di Valentina Picello), con un’energia nervosa che si sfoga in un logorroico e frenetico monologo di sopravvivenza, un’agilità verbale che le permette di muoversi senza sosta sul palco , quel “tetto che scotta” che è il suo matrimonio fallito , a piedi nudi come se il pavimento bruciasse di gelo. Maggie è una figura complessa: pur amando disperatamente il marito, è frustrata dalla sua freddezza: si trova costretta a impiegare un’astuzia felina per contrastare le macchinazioni di Gooper e Mae e garantirsi un futuro, sapendo che questo stesso futuro è costruito sulla menzogna della sua esistenza. Fausto Cabra incarna un Brick disilluso, disperato e auto-distruttivo, ritiratosi nell’oblio dell’alcolismo dopo la morte dell’amico e compagno di squadra, Skipper. La sua performance rende palpabile un disgusto morale radicato nella repressione dell’amore “pulito” e non riconosciuto per l’amico. Skipper si aggira sul palco come una nemesi: è al tempo stesso carnefice e sostenitrice dell’alcolizzato; è lui a passare continuamente le bottiglie a Brick, la cui unica ambizione per tutta la durata dello spettacolo è la ricerca dell’oblio. Il confronto tra Brick e Big Daddy (interpretato magistralmente con brutale schiettezza da Nicola Pannelli) è il cuore dello spettacolo, dove Williams, influenzato dalla disillusione di autori come Čechov e dalla poesia dei simbolisti, esplode il tema universale della “bugia” come sistema di vita. Big Daddy, volgare e diretto, è l’unico che costringe Brick ad affrontare la sua auto-menzogna, confessando che la sua intera vita, come quella di tutti, è basata, senza possibilità di deviazione, sull’ipocrisia. L’opera originale di Tennessee, vincitrice del Premio Pulitzer, nasceva dal tormento dell’autore, segnato dall’infelicità familiare e dalla repressione della propria omosessualità. Il titolo, “La gatta sul tetto che scotta“, è la sintesi della condizione di Maggie e della cognata Mae (Marika Favilla, che ha sostituito all’ultimo Giulia Vigogna), costrette a una lotta senza quartiere per sfuggire al declino sociale ed economico. La mossa finale di Maggie, il finto annuncio della gravidanza, è l’estremo tentativo di scendere dal tetto rovente, l’ultima mossa per sopravvivere. L’opera ottenne, nel 1955, enorme fortuna, ma fu soggetta a dure critiche e censure dato il maccartismo dell’epoca, in particolare nella versione cinematografica del 1958 di Brooks, dove la relazione tra Brick e Skipper fu completamente stravolta per rispettare il Codice Hays, trasformando un dramma sulla repressione sessuale in un racconto “politically correct” di crisi coniugale, un compromesso che Williams rinnegò fortemente. La differenza tra la rappresentazione originale (la versione di Broadway del 1955, comunque edulcorata per mano del regista Elia Kazan) e la rappresentazione della Corte risiede nella volontà di Lidi di recuperare la versione più fedele e cruda dell’autore, quella in cui Brick non trova redenzione nell’abbraccio finale di Maggie, rimanendo fermo nel suo alcolismo e nel suo ribrezzo e la menzogna di Maggie sulla gravidanza è il tentativo disperato per non cadere nell’oblio dei “senza ruolo”, ossia senza identità. L’avidità che permea tutta l’opera è rappresentata dal cinismo calcolatore di Orietta Notari (Big Mama) e Marika Favilla (Mae), che, unitamente a Gooper, tramano per l’eredità, nascondendo a Big Daddy la verità sul suo cancro terminale. Nel panorama teatrale di allora, l’opera rappresenta un fulmine a ciel sereno nel moralismo imperante, un dramma della verità in un’America conformista; a distanza di settant’anni, la riedizione al Teatro della Corte di Lidi ci ricorda che il conflitto tra verità e apparenza e il peso distruttivo della finzione non hanno perso nulla della loro scomoda attualità.
in scena al Teatro Nazionale di Genova
Repliche:
Giovedì 20/11/2025 ore 19:30
Venerdì 21/11/2025 ore 20:30
Sabato 22/11/2025 ore 19:30
Domenica 23/11/2025 ore 16:00
Produzione
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Traduzione
Monica Capuani
Regia
Leonardo Lidi
Interpreti
Valentina Picello, Fausto Cabra, Orietta Notari, Nicola Pannelli, Giuliana Vigogna, Giordano Agrusta, Riccardo Micheletti, Greta Petronillo, Nicolò Tomassini
biglietteria:
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiUltime Notizie
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