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Teatro Carlo Felice: Cavalleria Rusticana, L’Opera che Spezzò il Romanticismo
di Francesca Lituania
GENOVA – Se la moglie di Mascagni non avesse superato lo scetticismo e la mancanza di fiducia dell’autore, che all’epoca si definiva un “naufrago” artistico, spedendo l’atto unico Cavalleria rusticana al concorso Edoardo Sonzogno due anni prima, quel 17 maggio 1890 Roma non avrebbe visto al Teatro Costanzi la cesura del romanticismo lirico e la nascita del verismo operistico. L’opera fu accolta da un successo clamoroso, costringendo l’incredulo Mascagni a concedere ben sessanta repliche nella prima stagione. La messa in scena di Cavalleria nella versione di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi, in scena al Teatro Carlo Felice in replica il 22 e 23 novembre, solleva immediatamente una difficoltà esegetica: rendere onore ad una rottura epocale di musica, tema e linguaggio. Il direttore d’orchestra, il giovane Davide Massiglia, che vanta già un lungo curriculum e non è nuovo alla direzione dell’orchestra genovese (29esima Festa della Musica, giugno 2023), coadiuvato dalla regia che ripristina l’allestimento del Carlo Felice del 2019, rende onore alla coralità di Cavalleria: il coro si fa interprete della vox populi, delle sue tradizioni, funge da metro di valutazione tra morale e passione; non per nulla nella piazza del paese viene sintetizzata una cavea dove si esibisce il coro che fa da spettatore e non più da narratore come avveniva nel teatro greco. L’apparente serenità collettiva e il dramma delle pulsioni singole convivono, ne è un esempio l’ “Inneggiamo, il signor non è morto” che si sovrappone al corale Regina Coeli, creando un contrasto che non tratta semplicemente la “teoria dei vinti”, l’impossibilità di cambiare il proprio stato in quanto “ostrica” chiusa nel limitato mondo contadino, come nella omonima novella di Verga del 1880 (Vita dei campi) da cui l’opera trae tema e libretto, ma declina il distacco del narratore, la teoria dell’impersonalità, nell’esternazione urlata delle passioni umane, mantenendo l’assenza di giudizio tipica dell’era verista. La chiusura della novella, l’asciutta e descrittiva frase “Hanno ammazzato compare Turiddu!”, si trasfigura nell’opera in un epifonema disperato, intriso di pathos che sottolinea l’ineludibilità dei vincoli sociali. Nel contesto dell’Italia post-unitaria, dove la questione del mezzogiorno era argomento principe, l’inserimento in un’opera lirica a metà del preludio di una Siciliana in dialetto, cantata nella rappresentazione di venerdì sera dalla voce chiara e potente di Luciano Ganci (Turiddu), fu un vero e proprio azzardo, tanto che lo stesso autore non la presentò subito in concorso, ebbe il pregio di costituire una rottura musicale importante che, insieme al Intermezzo, eseguito splendidamente dall’orchestra del Carlo Felice, accresce il climax drammatico, mentre l’idea di mettere in scena, una sorta di Ballo dei Diavoli di Prizzi catapulta lo spettatore nell’atmosfera pasquale della Sicilia rurale. L’orchestra si erge a coprotagonista: erede della potenza wagneriana e della drammaticità verdiana, sottolinea il crudo realismo di matrice bizetiana da cui Mascagni trasse ispirazione, realismo che è stato mirabilmente sottolineato nell’edizione del Carlo Felice, grazie all’uso di luci bianco/azzurrine e bianco/giallastre e di ombre che hanno conferito un naturale effetto tridimensionale alla scena. L’illuminazione ha creato un vero e proprio Pellizza da Volpedo musicale, accentuando la plasticità della folla, in contrasto con la scenografia del fondale, di gusto macchiaiolo, raffigurante un piccolo borgo dalle tonalità ocra, quasi a significare l’immutabilità della realtà rurale. Il personaggio di Santuzza, che nella novella di Verga è una figura di contorno, utile quasi soltanto con la sua vendetta a concludere il dramma, è in Mascagni il motore della vicenda: bravissima Veronica Simeoni (mezzosoprano) in questo ruolo difficile sia per i registri centrali che negli acuti drammatici “squillati” e inoltre nel parlato (“A te, la mala Pasqua“) forse più vicini alla vocalità di un Falcon o di un soprano drammatico. Lodevole la performance del baritono Gezim Myshketa (Alfio) data la difficoltà di emergere dall’orchestrazione potente dell’opera. Nonostante lo sciopero che ieri ha coinvolto parte dei lavoratori del Carlo Felice l’opera è stata fluida e ha guadagnato molti applausi sia a scena aperta (per la Simeoni in particolare) che a fine spettacolo. La scelta di proporre la sola Cavalleria staccandola dal binomio verista CAV/PAG (Cavalleria rusticana e Pagliacci) è una scelta felice per far apprezzare quest’opera che spesso viene, nonostante la nascita anteriore rispetto alla seconda (1892), rappresentata nella stessa serata dopo Pagliacci. In realtà le due opere esplorano due realtà differenti: Cavalleria mostra la tragedia sociale, mentre Pagliacci indaga l’ossessione individuale che rompe il confine tra arte e vita e forse meritano entrambe una serata dedicata, affinché emerga appieno, al di là della musica, l’intento autoriale disgiunto.
Cavalleria Rusticana, Pietro Mascagni
Repliche
Sabato 22/11 ore 20:00
Domenica 23/11 ore 15:00
Direttore
Davide Massiglia
Regia
Teatrialchemici – Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi
Scene
Federica Parolini
Costumi
Agnese Rabatti
Luci
Luigi Biondi
Maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
Assistente alla regia
Francesco Traverso
Assistente ai costumi
Anna Varaldo
Personaggi e interpreti:
Santuzza
Veronica Simeoni
Valentina Boi (15, 21, 23)
Lola
Nino Chikovani
Turiddu
Luciano Ganci
Leonardo Caimi (15, 21, 23)
Alfio
Gezim Myshketa
Massimo Cavalletti (15, 21, 23)
Mamma Lucia
Manuela Custer
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Allestimento in coproduzione tra Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiUltime Notizie
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