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“Pensavo che tu mi stessi chiamando” – Sarabanda: l’ultima danza di Ingmar Bergman

di Francesca Lituania
GENOVA – La sarabanda è una danza a due lenta, dai passi trascinati: la quinta sonata per violoncello di Bach diventa la colonna sonora identificativa del viaggio interiore che i due protagonisti dell’omonima opera televisiva iniziano in “Scene da un matrimonio” e proseguono, cambiando tematica, con la melanconica e contemplativa riflessione sulla vita, sui suoi cicli e trasformazioni, in “Sarabanda”; mentre nella prima il tempo accelera e gli avvenimenti precipitano, nel secondo quasi diventa statico, fermo immagine del passato e del presente di cui si conosce l’epilogo, inaccettabile quanto inevitabile.
“Questa è la mia ultima regia: esigerò il massimo da me stesso e da voi. Sarò senza pietà” così disse Bergman e così sono i personaggi che il regista Roberto Andò porta in scena al Teatro Nazionale di Genova: i protagonisti non hanno misericordia o compassione e, risalendo al termine originario di pietà, nemmeno rispetto, amore e stima per i propri affetti: è una danza di recriminazioni e di scontro, non c’è redenzione o possibile riconciliazione. La disillusione e la perdita dell’amore diventano ricerca spasmodica dell’ amore stesso, sublimato e disperatamente irrecuperabile con la figura e la morte di Anna, quinto personaggio incorporeo del dramma. La scenografia (Gianni Carluccio) è essenziale: uno sfondo nero che scorre a variare le scene riproponendo l’effetto televisivo, le due bande nere dei sedici noni in alto e in basso a incorniciare la scena, e non solo, vengono sfruttate tutte le dimensioni del rapporto d’aspetto restituendo una dimensione bidimensionale alle scene che si susseguono, caratterizzate ciascuna dal dialogo tra due dei quattro personaggi, precedute da un prologo e concluse in un epilogo.
Le luci sono quasi caravaggesche: tagli obliqui o perpendicolari netti a illuminare i corpi e candele a riempire di ombre i volti. La depressione è il sentimento che permea tutta l’opera e culmina nella scena finale dove i personaggi sono nudi a mezzo busto con l’espressione del loro sentire più intimo: follia per Henrik, ribellione per Karin, paura della morte per Johan e disperazione per Marianne. I costumi di Daniela Cernigliaro dipingono cromaticamente le diverse personalità: Karin (interpretazione riuscita di Caterina Tieghi) alterna il rosso della ribellione e della instabilità emotiva con l’azzurro della razionalità e il verde della speranza, Johan veste di un rosso cupo iracondo e sanguigno, Henrik (perfetto Elia Schilton nella parte)indossa un non colore e Marianne toni di azzurro che ricalcano la sua razionalità e apparente freddezza, disarmata da quel “Pensavo che tu mi stessi chiamando” che porta allo scoperto la sua parte emotiva. Applausi meritatissimi per la rappresentazione e particolarmente sentiti per i due protagonisti Renato Carpentieri, immenso nella resa di Johan, le cui battute sarcastiche danno carattere aggiuntivo al personaggio, e per Alvia Reale, Marianne, per l’interpretazione che elogerebbe la stessa Liv Ullmann. Ad oggi forse lo spettacolo migliore andato in scena all’Ivo Chiesa in questa stagione.
Sarabanda
di Ingmar Bergman
Traduzione Renato Zatti
Regia Roberto Andò
in scena al Teatro Nazionale di Genova
Mercoledì 29/01/2025 ore 20:30
Giovedì 30/01/2025 ore 19:30
Venerdì 31/01/2025 ore 20:30
Sabato 01/02/2025 ore 19:30
Domenica 02/02/2025 ore 16:00
biglietteria:

Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiUltime Notizie
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