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La poesia è una cosa di tutti? Quando il poeta scende dal pulpito e si fa in tre
di Giorgia Di Gregorio
GENOVA – «La poesia non è una cosa per giovani, è una cosa di tutti»: così Christian Olcese spiega il titolo ed il senso del suo omonimo spettacolo, andato in scena giovedì sera a Palazzo della Meridiana. Quella che è andata in scena è stata un’estroflessione del sé poetico del regista per raccontare al pubblico cos’è e cosa deve essere secondo lui la poesia, la necessità di levarle la polvere di dosso e di farla scendere dal pulpito su cui viene spesso messa.
In scena un poeta che si sdoppia, anzi, che si fa in tre. Il poeta che diventa istinto (Simone Arnaldi) e suona la chitarra elettrica quando più gli piace. Il poeta che diventa attore e burattino (Ettore Scarpa) quando invece deve stare coi piedi per terra per ricordarsi che, purtroppo, non si vive di amore e di aria ma di soldi. Anche i poeti mangiano, fanno benzina e pagano le bollette.
Lo sa bene proprio il poeta Christian, fulcro dello spettacolo, sempre incline ad ascoltare il proprio istinto e a prendere in giro l’attore che invece lo spinge al pensiero della praticità e della “fatturabilità” della poesia. Questo è un poeta delle cose di tutti i giorni, dello slow living, o meglio, del living e basta visto che quella che facciamo è una vita in velocità. Da un lato Christian è uno di noi, si racconta, si mette a nudo nelle sue insicurezze e nei suoi traumi, dall’altra si propone come psicopompo delle parole desuete (parole del poeta ovviamente), uno sciorinatore di parole non più in uso che però, spiegate al pubblico, suonano plausibili a adattabili al quotidiano.
L’atmosfera intima e raccolta del loggiato floreale del Palazzo accoglie il pubblico in un’atmosfera familiare in cui la barriera tra palco e platea sfuma e attori e spettatori sono sullo stesso piano. Prima l’attore Christian entra, si sistema, allestisce la scena, fa il microfonista, porta il materiale dello spettacolo. Poi il poeta, sempre Christian, ma il vero Olcese questa volta, entra con molta calma, stringe la mano al pubblico, si presenta. A sinistra l’istinto infestante che rompe il ghiaccio e anima la scena fecendo da colonna sonora dei pensieri del poeta.
Lo spettacolo ha trattato diversi aspetti della poesia e del fare poetico: la non interpretabilità dei testi poetici, che vanno letti e presi per come sono; il valore salvifico che può avere per tanti la poesia, un balsamo per l’anima; l’eterno contrasto tra la vita artistica dello scrittore e la stridente realtà della società dei consumi in cui sì, fare letteratura in versi è bello, ma da solo non paga le bollette, e dunque la poliedricità delle professioni cui il poeta si deve piegare per andare avanti. Infine il concetto di movimento nella poesia, contrapposto alla staticità barocca del classico (per non dire vecchio) approccio che si ha a quest’arte.
Ma quindi la poesia è una cosa di tutti? No, almeno non come viene percepita comunemente. Il messaggio finale che Olcese e gli altri Christian in scena vogliono fare passare è che la poesia deve essere colta. Deve essere individuata nell’indugiare in un dettaglio, nell’amore dei gesti di tutti i giorni e che tutti i giorni ci circonda, nel vento di primavera che ci soffia addosso e che non si sa se passerà mai più. Questa è la “crociata poetica” di Olcese: alzare gli occhi al mondo per scoprire quanta poesia c’è intorno a noi e quanta ne stiamo perdendo chini sui nostri doveri e sui nostri telefoni.
Uno spettacolo di movimento e partecipazione da assistere in piedi e con la bocca e la mente aperta. Un momento poetico che lascia col sorriso sulle labbra e un po’ di commozione negli occhi.
Su Redazione
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