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IMRE THORMANN TORNA ALLA CREAZIONE DOPO VENT’ANNI CON “OMAGGIO ALLA MORTE”: «L’ARTE DEVE RISVEGLIARE»
Lo spettacolo del maestro svizzero del butoh debutterà in prima nazionale il 28 novembre al Teatro Akropolis. Sabato 29, l’artista sarà in scena a Palazzo Ducale con “Enduring Freedom”
di Alessia Spinola
GENOVA – Nell’ultima settimana di Testimonianze ricerca azioni, quando il festival di Teatro Akropolis sembra bruciare gli ultimi bagliori di un mese dedicato all’indagine sul corpo e sulla presenza, il ritorno di Imre Thormann si impone come un varco inatteso. Il maestro svizzero del butoh, figura appartata e radicale della scena contemporanea, torna alla creazione dopo vent’anni con Omaggio alla Morte, un lavoro che non implora risposte né cerca consolazioni, ma invita a fissare lo sguardo nel punto esatto in cui la fine diventa gesto, respiro, materia viva. Lo spettacolo debutterà in prima assoluta al Teatro Akropolis venerdì 28 novembre (ore 21.15) e arriva in città come una presenza magnetica, capace di trasformare il palcoscenico in una soglia: là dove la danza si fa rito, la poesia di Elena Ciardella spezza il silenzio, e le sculture di Jean-Gilles Quénum restituiscono alla morte il peso concreto della sua familiarità.

In un festival che alterna visioni oniriche e vertigini fisiche, Thormann porta un teatro che vibra di una calma feroce, un invito a rallentare per ascoltare ciò che la nostra epoca teme più di tutto: il limite, la fragilità, l’invisibile che ci accompagna. E mentre Omaggio alla Morte debutta in prima assoluta al Teatro Akropolis, Imre Thormann torna anche sabato 29 novembre alle ore 16, nella Sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale, con “Enduring Freedom”, lavoro cult del 2003, come un contrappunto necessario: la libertà e la fine, la storia e il corpo, la ferita e la trasformazione. Lo spettacolo prevede nudità in scena.
È da questa soglia, tra memoria e presenza, che prende avvio la nostra conversazione con Imre Thormann.
Cosa ti ha spinto, dopo vent’anni, a tornare alla creazione con un’opera che affronta la morte?
Non è che abbia passato gli ultimi vent’anni solo a piantare patate. Ho almeno due pezzi che eseguo da almeno venti o addirittura trent’anni e che continuo a eseguire ancora oggi. Rimangono di grande attualità. Uno di questi è “Enduring Freedom”, che sarà anch’esso esposto a questo festival. Per me, l’arte è vita quotidiana, non misurabile dalla produzione. “Omaggio alla Morte” è nato da un impulso interiore e intuitivo. Affrontare la morte mi ha preoccupato fin dalla nascita.

C’è un ricordo personale, una perdita, un incontro che ha reso necessaria questa creazione?
Hugues Vincent, un violoncellista con cui ho collaborato per la prima volta a “Omaggio alla Morte”, è morto di tumore al cervello. La scultura di Jean-Gilles Quenum è stata creata mentre sua sorella stava morendo di cancro. I miei genitori sono attualmente prossimi alla fine della loro vita. Si tratta, tuttavia, di circostanze piuttosto ordinarie che non hanno nulla a che fare con il titolo o l’opera. Al contrario, sono piuttosto una conferma che la morte è onnipresente.
Nel Butō il corpo è rito, passaggio, trasformazione: come hai tradotto questi principi nella costruzione della performance?
La musica e la poesia di Elena Ciardella integrano, o meglio interpretano, questi principi in modo superbo. Lo stesso vale per la scultura di Jean-Gilles Quenum. Rituale, transizione e trasformazione non sono un’esclusiva del Butoh. Considererei questi principi il fondamento di ogni arte e, pertanto, dovrebbero essere sempre visibili.
“Celebrare” la morte oggi può sembrare provocatorio: come speri che lo spettatore reagisca a questo ribaltamento di prospettiva?
Il pubblico è completamente libero nella sua interpretazione e reazione. Non ripongo alcuna speranza in esso. Tuttavia, mi sembra piuttosto provocatorio come la morte sia sempre più repressa nella società odierna, soprattutto in quella occidentale. Sta perdendo presenza, significato e, soprattutto, importanza. Forse si tratta di una tendenza a superare il dualismo per giungere alla trascendenza o al monismo. Le conseguenze odierne, tuttavia, sono una chiara tendenza narcisistica nella società e una grande paura. I femminicidi e altri atti di violenza ne sono una conseguenza.
Quale forma di consolazione o di inquietudine può offrire l’arte in un’epoca che teme il silenzio e la fine?
L’arte ha sempre lo stesso compito, in ogni epoca: risvegliare e scuotere.
Dopo questa prima nuova produzione in vent’anni, senti già l’esigenza di proseguire su un percorso oppure Omaggio alla morte è un punto fermo, un completamento?
Non vedo l’ora di lavorare a quest’opera per i prossimi vent’anni. Ciò che verrà dopo, arriverà in un modo o nell’altro. Il mio percorso è libero da proiezioni o obiettivi. “Omaggio alla Morte” mi accompagnerà sicuramente per il resto della mia vita.
Su Redazione
Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Alessia Spinola. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela BiaginiMessaggi correlati
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