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Come si sta evolvendo la medicina estetica: chirurgo ed estetista figure diverse ma complementari
GENOVA – La medicina estetica sta prendendo sempre più campo anche tra le fasce più giovani, un po’ i social che ci illudono con immagini di una bellezza perfetta e inesistente, un po’ la paura di invecchiare o per una sensazione di disagio con il proprio corpo difficile da gestire, ricorrere a qualche intervento sembra la risposta più semplice
GOA ha incontrato e chiacchierato con Marco Enzani, medico chirurgo estetico, Michaela Defilippi, estetista e imprenditrice e Silvio Dadone, rappresentante di Alea Couture, azienda leader nel settore medicale che commercia tecnologie avanzate per l’estetica e la medicina estetica.
Tre figure differenti ma complementari che ci hanno spiegato come il ruolo del medico estetico e quello della professionista dell’estetica debbano comunicare sempre di più per accompagnare i pazienti nei processi prima e dopo gli interventi.
Iniziamo il nostro incontro proprio con il dr. Enzani, medico chirurgo estetico docente della scuola quadriennale di Medicina Estetica Agorà di Milano.
Oggi si parla sempre più spesso di chirurgia e medicina estetica, cosa sta cambiando in quest’ambito e qual è il ruolo della sua professione?
Sono un medico chirurgo estetico e recentemente ho avuto una piccola deviazione verso la scrittura, nel mio libro (“E le chiamano punturine” edito da Morellini) ho cercato di analizzare l’evoluzione negli ultimi anni della medicina estetica qua in Italia e dell’estetica in generale, del concetto di bellezza, che è stato così tanto influenzato in poco tempo dai social e da Internet. E “la bellezza” ne ha risentito per certi versi in termini positivi ma soprattutto in termini negativi dal punto di vista psicologico e del cambiamento del tipo di paziente che sia si è iniziato a rivolgere a noi. L’età è cambiata, il lavoro che facevamo 10 anni fa è molto diverso da quello che facciamo adesso così come l’approccio è diverso. Questi cambiamenti hanno richiesto un intervento multidisciplinare, un contesto in cui non basta più essere solamente medici, perché prima ci si occupava di patologie di fatto e si trascurava il disagio adesso invece per quanto riguarda l’estetica, ci si va a occupare di disagi. Mi occupo anche di patologie, di fatto ogni tanto ho a che fare con l’estetica oncologica, ad esempio, però quello di cui mi occupo principalmente sono i disagi.
Ho cercato di classificare il paziente che si rivolge a me comprendendone le esigenze che mi vengono raccontate e quanto sono veicolate dalla persona, quanto invece ad esempio, dai modelli di vita che ci ritroviamo in giro.
Negli ultimi tempi ho visto cambiare il modo in cui ci si approccia al paziente e poi ho visto, purtroppo il paziente diventare cliente e questa è la cosa che mi ha dato più fastidio e forse è il motivo principale per cui mi sono un attimo spogliato da essere un medico e sono diventato un narratore, perché ultimamente ci si scorda tanto della parola medico quando si parla di medico estetico di medico, chirurgo estetico, siamo medici prima di tutto. Serve scientificità in quello che facciamo serve formazione e preparazione. Ultimamente la gente se scorda io non ho clienti, ho pazienti
A questo proposito, la cura del paziente e il suo benessere necessitano di un’équipe medica adeguata. Da quante e quali figure deve essere composto il gruppo secondo lei?
Anche questa cosa è cambiata negli anni, prima pensavo che il disagio potesse essere gestito da un medico poi ho iniziato a pensare, siccome parliamo di disagi estetici serve un medico estetico, un chirurgo plastico e perché non un dermatologo. Poi, il 90% delle pazienti quando ho iniziato erano donne, quindi un ginecologo poteva essere utile in un approccio un pochino più completo.
Poi ho iniziato pensare che un approccio in più analitico e clinico come quello psichiatrico e psicologico potessero essere utili e mi sono accorto anche di un’altra cosa, che la maggior parte delle pazienti ha dei confronti che sono al di fuori dell’ambito professionale. Parlano di estetica dall’estetista, dalle parrucchiere., anche con i farmacisti, ad esempio, in questi contesti che sono mal informati.
A Milano, durante un convegno, mi sono trovato a parlare con Michaela (Defilippi) la responsabile di zona di Alea che appunto è una professionista dell’estetica. Abbiamo iniziato a parlare di quanto le professioniste dell’estetica possano collaborare nell’ambito clinico e come questo, nella realtà medica non sia stato facile. Da parte della classe medica c’è tanto disagio nel riconoscere un’ufficialità alla figura della professione dell’estetista, purtroppo, perché negli ultimi tempi ci sono stati tante invasioni e abusi di professione da parte di molte estetiste che si sono ritrovate a fare pratiche che erano mediche e di fatto sono state segnalate.
Io ho incontrato invece una realtà molto professionale, di estetiste che vogliono sapere come rivolgersi al medico e vogliono sapere dove le clienti possono arrivare.
La Liguria è solo una delle tante regioni in cui sta iniziando a prendere sempre più piede la medicina estetica. Come ci si approccia a questa professione nelle altre regioni?
Allora, io ho lavorato in Lombardia, in Liguria, ho avuto contatti con la Sicilia la Toscana…ti faccio un esempio, quando io lavoravo in Lombardia, intervenivo sulla paziente e i messaggi che mi arrivavano nei giorni successivi in media di solito erano “dottore, nessuno si ‘è accorto di niente dobbiamo rivederci”. In Liguria il messaggio che mi arriva più spesso è “dottore nessuno si è accorto di nulla sono contentissima”. Ecco la differenza non so quanto sia un discorso regionale, però la grande città ha una concezione dell’estetica della bellezza diversa. Ha una discrezione differente, tant’è che io sono tornato a lavorare in Liguria. Il mio lavoro dev’essere discreto, c’è una parola che tante pazienti dicono: “vorrei un risultato naturale” analizzando il significato vuol dire armonico, proporzionato ovvero seguire delle regole che sono matematiche. Il mio intervento principale parte dalla naturalezza dall’armonia cercando però di dare risalto quelle caratteristiche uniche che ognuno di noi ha. E poi un’altra cosa, il dire no, quella è anche la differenza che fa il medico dal commerciante, perché alla bellezza ci si abitua molto facilmente e quindi si vuole sempre di più e a un certo punto dobbiamo essere noi i medici e i tecnici a dire basta.
Sempre più spesso si sente di pazienti giovanissime che si avvicinano alla medicina estetica, secondo lei può essere necessaria una formazione nelle scuole e un approfondimento di queste tematiche?
Negli ultimi cinque o sei anni l’età media delle mie pazienti è passata da 45 a 35 anni l’approccio con un viso giovane con un corpo giovane è un approccio che richiede conoscenza dei materiali e materiali nuovi, perché altrimenti ritroviamo ad avere che fare con delle persone che che rischiano di invecchiare in maniera non armonica. Iniziare a un’età giovane a fare medicina o chirurgia estetica in maniera non adeguata con materiali non adeguati è pericoloso per questo stiamo studiando protocolli specifici per questi pazienti sempre più giovani. Non sono punturine, come spesso oggi vengono chiamate, sono tutti interventi con delle complicanze e per quello che devono essere fatti da medici chirurghi.
Quindi anche il ruolo di uno psicologo o psicoterapeuta può essere fondamentale nelle fasi pre e post operatorie?
Sarebbe già utile nella fase scolastica, secondo me, in una società come quella di oggi, dove c’è veramente tanta influenza e da e contesti non familiari, ma contesti esterni, elettronici. La percezione delle linee della bellezza dell’estetica e di e della comunicazione è una percezione completamente diversa da quella di una volta, secondo me oggi la figura degli psicologi dovrebbe essere molto invasiva per quanto riguarda la percezione della persona, perché rischiamo di avere dei giovani che sono molto più soggetti alla depressione e alla frustrazione. Vorrei lavorare meno con i giovani, paradosso però è così.
Michaela Defilippi e Silvio Dadone, portavoce di Alea, ci spiegano invece come il ruolo delle professioniste dell’estetica si sia trasformato nel tempo diventando potenzialmente una figura chiave che può accompagnare e supportare il medico estetico. Dadone inoltre ci ricorda l’importanza e l’imprescindibilità di una ricerca costante, per essere sempre al passo con i tempi attraverso macchinari ed attrezzature d’avanguardia che assicurino al cliente soddisfazione e professionalità

Che posizione ha Alea per quanto riguarda processi integrati che vedono la collaborazione tra medici estetici ed estetiste?
S.D. La nostra idea è quella di togliere questa dicotomia che c’è tra l’estetista e la medicina estetica, due mondi che possono e devono collaborare in maniera molto stretta per il bene dei loro pazienti.
Esistono processi di formazione avanzati per le professioniste dell’estetica che dovranno poi entrare in sala operatoria insieme al medico?
M.D. A Milano, per esempio l’Università Agorà fa dei corsi formativi per preparare alcune categorie come estetiste e OS a diventare assistenti alla poltrona del medico estetico e poter offrire un’integrazione mirata per quanto concerne sia la preparazione degli studi che il mantenimento post intervento. Questa filosofia di lavoro la vivo da 15 anni con collaborazioni esterne, perché in Italia ancora non siamo riusciti a far accettare che all’interno di contesti medici possa esserci presente la figura dell’estetista.
Oggi la cliente arriva prima da noi, il rapporto che si instaura tra cliente ed estetista è fatto di intimità e di fiducia, questo fa sì che loro si aprono con noi, riescano a manifestare quelli che sono le insicurezze con il loro corpo e seguano le nostre direttive. Riusciamo a far capire al cliente che magari il semplice intervento dell’estetista non può essere sufficiente e duraturo e che c’è bisogno dell’intervento di un chirurgo plastico o estetico. Da noi poi torneranno a fare quello che è il mantenimento fondamentale per evitare le cosiddette complicanze post intervento, è quindi una cura a tutto tondo che si offre al paziente.
S.D. Esistono già dei reparti Ospedalieri chirurgia plastica ma facciale, perché purtroppo avvengono incidenti e le persone rimangono distrutte dal punto di vista fisico ed è importante il fatto di avere un qualcuno che esternamente, fuori dal reparto finita la degenza possa seguire in maniera corretta il paziente.
Ripropongo anche a voi la domanda fatta al dr. Enzani, si è abbassata la soglia di età delle pazienti che richiedono interventi estetici, che ruolo ha l’estetista in questo?
M.D. Sempre più richiesta tra le giovanissime che spesso vengono addirittura accompagnate e consigliate dalla mamma. Ecco lì è importante indirizzare le pazienti da medici che lavorino con etica e la paziente deve imparare ad ascoltare a capire che quando un medico che lavora con etica dice no, non è perché non lo sa fare o non lo vuole fare ma perché conosce il risultato nel lungo periodo di un determinato intervento.
Il lavoro dell’estetista è cambiato, cosa comporta questa trasformazione?
M.D. Oggi è bene ricordare che l’estetista non è più l’estetista di trent’anni fa che iniziava senza una base scolastica, un po’ come apprendista, imparava quindi molto bene quella che era la tecnica. Mancava tutto quello che era lo studio che è fondamentale invece per riuscire a fare dei collegamenti a livello anatomico e riuscire a fare quella che è poi un’anamnesi corretta dell’inestetismo e soprattutto di che cosa lo scatena.
Oggi l’estetista per essere qualificata deve fare un corso di tre anni, con tutte le materie di un biennio infermieristico.
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