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GLI INTERPRETI DI “MIA”: “IL NOSTRO MESSAGGIO PER DIRE NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE”

Al Teatro Duse debutta in prima nazionale uno spettacolo contro il femminicidio. GOA ha intervista i due protagonisti: l’attore e autore Giorgio Scaramuzzino e la danzatrice Michela Cotterchio
GENOVA – Due generazioni a confronto, due modi differenti di dominare la scena sul palco, due generi teatrali uniti per dire no al femminicidio. Il Teatro Nazionale di Genova per la Giornata contro la violenza sulle donne ha scelto lo spettacolo Mia – maschi violenti e donne violate (debutto in prima nazionale al Teatro Duse lunedì¬ sera alle 20.30 con repliche in matinée per le scuole il 26 e 27 novembre) per lanciare un messaggio forte e deciso e accogliere lo sfogo delle donne che hanno paura di uscire allo scoperto.
GOA ha intervistato i due protagonisti dello spettacolo, due interpreti così diversi e simili allo stesso tempo: da una parte Giorgio Scaramuzzino, 52 anni, attore e regista navigato e poliedrico, diplomatosi alla scuola di recitazione del Teatro di Genova e formatosi nella Compagnia del Teatro dell’Archivolto di Genova, oggi attivissimo nell’ambito del teatro ragazzi con i suoi spettacoli tratti dalle opere letterarie di Gianni Rodari, Stefano Benni, Erik Orsenna, Daniel Pennac e tanti altri.
Dall’altra Michela Cotterchio, 24 anni, torinese, danzatrice classica e moderna, allieva della compagnia torinese EgriBianco di Susanna Egri e formatasi nella danza contemporanea tra Italia, Belgio e Francia, riconosciuta come uno dei talenti più fulgidi in circolazione. Uniti insieme per “il maschilismo e gli stereotipi di genere, affinché la parola mia possa indicare un vincolo affettivo e non di possesso”.
Mia, che messaggio intende lanciare?
Scaramuzzino: Appartengo ad un’epoca che ha vissuto e subito la figura dell’uomo padrone e del maschio violento. Bisogna cercare di trasmettere l’idea alle nuove generazioni che in realtà tra uomo e donna non esistono differenze, è solo il corpo a dividerli. Mia vuol essere un messaggio di speranza ma soprattutto di riscatto.
Cotterchio: Per me è un onore essere stata scelta per interpretare questa parte al fianco di un attore che ammiro e stimo e per uno spettacolo che arriva al cuore delle persone perché prende spunto da fatti di cronaca e di vita vera. Mia attinge dalla realtà e racconta il vissuto di donne che hanno dovuto subire violenze ed umiliazioni. Una prova che mi ha toccata emotivamente ma mi ha fatto crescere moltissimo dal punto di vista umano e professionale.
Due generazioni a confronto e il ritorno del teatro-danza. Perchè questa scelta?
S.: Volevamo utilizzare due linguaggi diversi, all’apparenza in antitesi, per lanciare lo stesso messaggio. Con l’aiuto del coreografo Giovanni Di Cicco e delle musiche di Paolo Silvestri siamo riusciti a creare un mix di stili e modi di comunicare che hanno però prodotto un risultato uniforme. Vado orgoglioso della scelta di Michela (Cotterchio, n.d.r.) per interpretare il ruolo della donna perchè con il suo modo di danzare trasmette un senso di forza e femminilità perfetto per quel ruolo.
C.: Confesso di essere rimasta un po’ sorpresa che la scelta sia caduta su di me. Anche perchè non avevo fino ad ora esperienze recitative alle spalle. Invece grazie all’aiuto di Di Cicco e di Scaramuzzino mi sono piano piano entusiasmata del ruolo che mi ha fatto scoprire una parte di me che non conoscevo.
Dopo Mia quali progetti vi attendono sul palco?
S.: Mia fa parte del Progetto Urgenze, un ciclo di spettacoli che in passato ha affrontato argomenti come la lotta alla mafia, il razzismo, le migrazioni e oggi porta appunto in scena la delicata tematica della violenza sulle donne e del femminicidio. In cantiere ho pronto uno spettacolo sulla sanità pubblica, sul suo ruolo, la sua importanza che dovrebbe rivestire nel nostro Paese, per capire come colmarne i tanti buchi neri e permettere a chi non possiede nulla di potersi curare. Come accade nella maggior parte degli altri paesi del resto. A tal proposito mi viene in mente l’esempio di un grande maestro filosofo, Flavio Baroncelli, che quando si ammalò negli Stati Uniti decise di tornare in Italia per morire nel suo Paese perchè coltivava un sogno: avere una sanità pubblica gratuita e accessibile a tutti.
C.: Continuerò con i miei spettacoli in giro per l’Italia e l’Europa coltivando la speranza di poter rivivere un’esperienza come quella di Mia. Ritengo che il ruolo per cui sono stata scelta abbia accresciuto il mio bagaglio e resa più completa come interprete e soprattutto come donna.

Su Tomaso Torre
Giornalista pubblicista dal 2003, è fondatore e direttore responsabile di GOA Magazine. Appassionato di arte, cultura e spettacoli ha collaborato per anni con diverse testate locali occupandosi di cronaca ed attualità, sport e tempo libero. “Ho sempre coltivato il sogno di realizzare un prodotto editoriale dinamico e fluido che potesse rispondere alle esigenze informative di un pubblico sempre più competente ed avanguardista”.Ultime Notizie
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