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LORENZO BIAGIARELLI PER INCIPIT: ”LA CUCINA È UN LINGUAGGIO, RACCONTA SEMPRE QUALCOSA”
pietro baroni
Lo scrittore-cuoco (ma non chiamatelo chef) più famoso del web ha concluso la prima giornata del festival letterario con uno showcooking e la presentazione del suo libro a Palazzo Imperiale
GENOVA–Ieri sera, nella splendida location del Salone delle Feste di Palazzo Imperiale, Lorenzo Biagiarelli si è esibito prima in uno showcooking molto profumato, anche grazie ai prodotti di Orto Collettivo, e dopo nella presentazione del suo libro “Qualcuno da amare, qualcosa da mangiare.” .

Ad accompagnarlo la compagna Selvaggia Lucarelli,
co-protagonista perfetta dello showcooking: “Aspettavo da una vita il ruolo di tenere in mano il piatto”
e che, con Lorenzo, ha presentato anche il suo di libro, “Falso in bilancia”.
Abbiamo fatto qualche domanda al food blogger del momento, per capire meglio la sua filosofia di cucina o meglio, di vita.
Ti senti più cuoco, scrittore o viaggiatore?
Mi piacerebbe essere più viaggiatore perché vorrebbe dire che starei in giro per 11 mesi all’anno, mi viene molto facile essere scrittore perché è una pratica coltivata quotidianamente in cui riverso anche gli aspetti della cucina meno canonici, alla televisione invece sono meno abituato. Fondamentalmente però sono un cuoco, tutto il mio lavoro si basa sulla cucina, sui piatti che preparo o le cui ricette propongo o le cui storie racconto.
Qual è la tua idea di cucina? E che cosa rappresenta per te cucinare?
Per me cucinare rappresenta un’ottima scusa per mangiare, che in realtà rappresenta la mia prima grande passione, oltre le tre già citate. Ho iniziato a cucinare proprio per poter sopravvivere, quando ho iniziato le medie dovevo aspettare un’ora prima che mia madre tornasse a casa e si sa che per un bambino di quell’età è un tempo lunghissimo, se poi non c’è neanche il Detective Conan in tv può diventare mortale. Quindi ho iniziato per necessità ma è diventato subito divertimento e passione, qualcosa che faresti anche gratis, trasformarlo in un lavoro è stato lo step successivo.
Prima di tutto la cucina è prendersi cura di qualcuno perché comunque raramente è una pratica autoreferenziale, lo fai sempre per te e almeno per un’altra persona.
È un linguaggio, qualcosa che mi raccorda con le altre persone, questa sera con gli invitati ma in generale con chi mi segue sui social.
Credo che il primo passo della cucina sia il linguaggio, con tutto quello che comporta: scoperta, racconto, la spiegazione, la storia. Per esempio stasera facciamo tre piatti (durante lo showcooking ndr) non particolarmente geniali ma ognuno di loro ha una storia da raccontare, e questo è l’obbiettivo principale della mia cucina e del mio lavoro.
A che cosa ti sei ispirato per il menù di stasera?

Io ho pensato ai tre piatti salati, del dolce si sono occupati loro (lo staff del Salone delle Feste Palazzo Imperiale ndr)
con una meravigliosa prescinsoa accompagnata da un coulis di cachi strepitoso e molto stagionale.
Il menù in realtà è nato dall’idea di collaborare con l’Orto Collettivo, una dimensione in cui l’agricoltura non è soltanto tirar su qualcosa dalla terra ma di raccontare una storia di stagionalità, tradizione e recupero.
Quindi abbiamo fatto tre ricette con ingredienti che di solito si buttano, per l’antipasto per esempio usiamo il talli dell’aglio

che sono la parte fresca che emerge dalla terra, non sono quasi mai utilizzati perché in genere si fanno seccare e si fanno le tracce ma nella cultura contadina sono molto importanti, in particolar modo in Abruzzo e al sud.
Noi ci facciamo un piatto che vuole riprodurre un’idea del pesto un po’ eretica: il parmigiano e il pecorino finiscono nella panna cotta salata, l’aglio diventa talli d’aglio che sono verdi e danno un bellissimo colore simile a quello del basilico, e al posto dei pinoli usiamo le mandorle che sono sicuramente un’alternativa più economica e con un retrogusto un po’ più amaragnolo e per finire due crostini di fugassa, che sono d’obbligo, per fare scarpetta.
Il primo è una zuppa di ceci neri e cavolo nero,

che anche lui ha una storia di verdura dimenticata e relegata alla cultura contadina, dopo un’esplosione di comunicazione negli anni 2000 in America pian piano è diventato una delle verdure più costose e ricercate per le sue proprietà benefiche.
La ricetta di questa zuppa viene dal web, ed è stata la più riprodotta in assoluto, l’inventrice è stata una giornalista americana, Alison Roman. Noi la facciamo con la variante delle “verdure nere”, poi si aggiungono il latte di cocco e lo zenzero che secondo me danno una freschezza alla terrosità degli altri ingredienti davvero interessante.
La terza ricetta invece è legata al viaggio, nello specifico alla Polonia,

e al recupero. In questo caso delle foglie di cavolo, in genere buttate, che vengono usate per creare un involtino con un ripieno di coniglio e castagne e alla base mettiamo una purea di topinambur, sempre dell’Orto Collettivo.
Quindi tre piatti che raccontano una storia.
Quindi hai deciso di scrivere un libro perchè ti piace raccontare qualcosa. Ma c’è un capitolo a cui sei più affezionato, che hai scritto con maggior passione?
Ce ne sono tanti, in particolare due. Il primo, quello che ho scritto con più passione, è sicuramente “Portello” che racconta dell’incontro con la mia compagna, la prima spesa insieme e di quello che poi è diventata la nostra vita.
Quello che ho scritto con più interesse è stato “La vita è un rischio” sul periodo in cui ho lavorato in un pub a Londra, in cui c’erano serbi e kosovari insieme, reduci dalla guerra civile, che avevano deposto le armi ma con delle storie veramente impagnative: passati da cecchini, racconti di pulizia etnica.
A questi però si incrociano anche altre storie di vita più “leggere”, come quella di cercarsi la moglie su Tinder, dove peraltro Tony l’ha trovata davvero e hanno anche avuto due figli. E sul serio, come ho scritto sul libro, nella sua foto profilo Facebook c’è il figlio e la scritta “Congratulazioni. Armata del Kosovo” e alle nozze uno dei testimoni è stato proprio Filip il serbo, proprietario del pub.
Visto che siamo a Genova, c’è un piatto ligure che ti piace particolarmente o che ti incuriosisce?
Sono rimasto folgorato dalla storia della sardenaira, perché è un piatto perfetto nella sua semplicità perché gli elementi che la compongono -le acciughe, i capperi, il pomodoro e il lievitato- sono combinati in maniera perfetta e poi la storia racconta che è nata dallo scambio di ingredienti con la Sardegna. Poi mi piace molto il prebuggion, l’ho mangiato l’anno scorso a Sanremo, dove peraltro ho imparato la maggior parte di quello che so sulla cucina ligure.
Ieri è andata in onda la prima puntata di “Cortesie per gli ospiti B&B”. Che esperienza è stata? Cosa ti ha lasciato?
È stata un’esperienza molto bella perché comunque mi ha permesso di girare tanti posti anche un po’ dimenticati ingiustamente. Bellissime località dove c’è tanto da imparare, più che insegnare, sulle specialità gastronomiche. Io sono tenuto a giudicare le colazioni e gli aperitivi serviti in queste strutture ma in realtà poi in Italia la varietà dell’enogastronomia è talmente ampia ed eccellente che non puoi davvero insegnare nulla, soltanto imparare.
Poi è la nuova versione di un programma di culto (Cortesie per gli ospiti ndr), quindi credo sia anche un esperimento molto interessante da guardare.
Su Silvia Siri
Da laureata in Lettere a laureanda in Informazione ed editoria. Appassionata lettrice e divoratrice di serie tv, ama l’arte in tutte le sue declinazioni…comprese quelle culinarie! Coltiva il sogno di poter fare delle parole il suo mestiereUltime Notizie
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