Carmen: “Libera è nata libera morirà”. Al Teatro Carlo felice in scena il dramma della violenza di genere

di Giorgia Di Gregorio
GENOVA – Ieri venerdì 16 maggio al Teatro dell’Opera Carlo Felice è andata in scena la prima di “Carmen”, opéra-comique di Georges Bizet, nonché penultimo titolo della stagione lirica del teatro. L’ attualità del tema principale, il femminicidio, rende “Carmen” un’opera senza tempo che ripropone in una eterna “prima” il dramma della violenza di genere.
L’opera si apre in modo allegro e frizzante. Sui perfetti ed argentei suoni dell’Orchestra e Coro del Carlo Felice diretti dal Maestro Donato Renzetti, un accecante telo rosso viene strappato via per svelare l’incantevole cornice scenica (Daniel Bianco). Questa a tratti, e con un po’ di immaginazione, potrebbe far tornare alla mente i nostri paesaggi liguri: se le rocce fossero scogli e dietro le colonne ci fosse il mare eccoci sulla costa genovese. La piéce si apre coralmente con una cartolina della Siviglia del primo ‘800. Allegria, bambini che corrono, guardie che vengono rincorse, donne fascinose in ogni angolo, scenette da piazza. Cori di voci bianche e non si mischiano in un incipit giustamente sopra le righe.
Nel disordine arriva l’ordine, entra in scena Carmen, interpretata da una raggiante Annalisa Stroppa. Dal momento in cui la protagonista appare l’opera sembra trovare la propria colonna portante. Carmen è una donna avanti per il suo tempo, forse per tutti i tempi. Lei è forte, affascinante, ammaliante, cosciente di sé stessa, intelligente, fa del suo charme la propria arma; ammalia, litiga, balla, sputa, canta. Colpisce in amore e parimenti subisce (fino ad un certo punto).
Ed è proprio con Carmen che prende dimensione il personaggio di Don José (Francesco Meli), che da eroe diventa criminale, non per colpa dell’amore, ma per colpa di sé stesso. L’amore diventa ossessione tanto da far diventare l’amante antagonista. La relazione tra i due protagonisti coinvolge il pubblico, è passionale, travolgente, ma mostra fin da subito segni di inquietudine, violenza, possesso. Le interazioni tra i due, agli occhi di uno spettatore del 2025, sembrano quasi incomprensibili ed immotivate. E lo sono realmente.
Si assiste alla genesi di un amore malato, tossico, ed alla conseguente degenerazione dei personaggi. La spavalda Carmen rimane sfacciata ma diventa impotente, seppur stoica e fiera, al cospetto di un destino annunciato. Non è spaventata da un Don José folle di gelosia, le parole che gli riserva sono sincere, mette le cose in chiaro: “Mai Carmen cederà, libera è nata, libera morirà”. Per tutta l’opera lei gioca col fuoco, ma davanti a Don José è solamente onesta, disillusiva. Davanti a tanta sicurezza e fortitudine l’uomo perde definitivamente il controllo: Carmen è la rovina della propria vita. Emergono prepotentemente temi attuali come la possessione, la negazione del rifiuto, la morbosa esclusività del rapporto, la costrizione di genere.
Con questo spirito l’opera si avvia a conclusione. Le atmosfere desolate del contrabbando tornano a fare spazio all’allegria festosa dell’ouverture. Ma Carmen è diversa, è pronta a morire. Vestita per il proprio funerale va incontro alla morte senza esitazioni. Don José torna in scena: è la resa dei conti. Arso dalla gelosia, l’ex soldato intrappola Carmen, la scongiura, la minaccia, la pugnala. “In amore e in guerra tutto è lecito”, in scena due battaglie animalesche si consumano, quella tra i due amanti e quella tra Escamillo (interpretato da un carismatico Luca Tittoto) e il toro. Uno spettacolo grottesco, violento, disperato, a cui si guarda con occhi pieni di amarezza e rassegnazione, perché tutti noi siamo coscienti che la storia può finire in un solo modo. Don José si autodenuncia, si pente, stringe Carmen a sé. Alla fine dei conti lui ottiene ciò che voleva, ora Carmen è sua, la possederà per sempre.
Una storia fin troppo attuale che potrebbe benissimo essere una notizia da telegiornale delle 20. Carmen vive nella Spagna del primo ‘800, usi e costumi di altri tempi, gerarchie ribaltate, società incomparabili, tuttavia quello che si chiama “femminicidio” è attuale oggi come allora. Si può notare quanto sia curioso ciò che noi, come società, o meglio comunità, abbiamo deciso, a distanza di quasi due secoli, di conservare e ciò che preferiamo cambi. “Carmen” nel tempo si è cristallizzata ed è rimasta nella storia per quello che è: una bellissima tragedia.
“Carmen” non è un’opera di denuncia, non è riuscita ad esserlo per tutti e di certo non inizierà ad esserlo ora: è un dipinto perfetto di una società impermeabile alla libertà affettiva delle donne. Un quadro drammatico e preoccupante da cui non si riesce a distogliere gli occhi dalla tanta bellezza.
Un’opera che si mostra e si racconta, si pavoneggia e si critica, si apre e si chiude al pubblico.
Con Francesco Meli (Don José), Luca Tittoto (Escamillo), Armando Gabba (Le Dancaire), Saverio Fiore (Le Remandado), Paolo Ingrasciotta (Morales), Luca Dall’Amico (Zuniga), Annalisa Stroppa (Carmen), Giuliana Gianfaldoni (Micaela), Vittoriana De Amicis (Frasquita), Alessandra Della Croce (Mercedes)
Maestro concertatore e direttore
Donato Renzetti
Regia
Emilio Sagi
ripresa da
Nuria Castejón
Scene
Daniel Bianco
Costumi
Renata Schussheim
Coreografie
Nuria Castejón
Luci
Eduardo Bravo
Orchestra, Coro, Coro di voci bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini
“Carmen” è in scena al Teatro dell’Opera Carlo Felice fino a domenica 25 maggio
Biglietti acquistabili sul sito: https://operacarlofelicegenova.vivaticket.it/it/event/carmen/240104

Su Redazione
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