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Al cinema Sivori prosegue la rassegna “Mondovisioni – I documentari di Internazionale”

GENOVA – Prosegue al cinema Sivori la rassegna “Mondovisioni – I documentari di Internazionale” con due film dedicati ai diritti umani. Il primo appuntamento è giovedì 24 novembre alle ore 20.30 con “Seven Winters in Tehran”, introdotto da due esponenti della Comunità iraniana a Genova, l’antropologo culturale Babak Tcheraghali e la giornalista Zara Jalilian. Il lungometraggio di Steffi Niederzoll, in lingua farsi con i sottotitoli in italiano, ripercorre il caso giudiziario di Reyhaneh Jabbari, condannata per omicidio nonostante le prove di legittima difesa.
Il secondo appuntamento è lunedì 27 novembre alle ore 20.30: sarà Marco Aime, docente di Antropologia all’Università di Genova, a commentare “Theatre of Violence” di Lukasz Konopa ed Emila Langballe, che analizza il fenomeno dei bambini rapiti in Uganda per trasformarli in soldati, attraverso la vicenda di uno di loro, Dominique Ongwen, che diventato adulto si costituisce e si sottopone al giudizio della Corte penale internazionale all’Aia. In lingua acholi, inglese e francese con i sottotitoli in italiano.
“Seven Winters in Tehran” è dedicato al processo, alla detenzione e al destino di una donna iraniana, Reyhaneh Jabbari, diventata simbolo di resistenza per un intero Paese. La vicenda inizia a Teheran il 7 luglio 2007, quando Jabbari ha 19 anni e va a un incontro di lavoro con un nuovo cliente. Lui tenta di violentarla, lei lo accoltella e fugge. Più tardi, viene arrestata e accusata di omicidio. Nonostante le numerose prove di legittima difesa, Reyhaneh non ha alcuna chance di essere assolta perché il suo aggressore era un uomo potente che, anche da morto, viene protetto da una società patriarcale. La lotta di Reyhaneh per i suoi diritti rispecchia quella di tante altre donne, riflette la condizione della donna in Iran. «Avevo letto di Reyhaneh Jabbari – ha dichiarato la regista Steffi Niederzoli – su un giornale. Il suo caso era stato seguito con particolare attenzione in Germania, perché uno zio di Reyhaneh vive qui. Tuttavia, all’epoca era solo una tra le tante notizie strazianti che avevano catturato la mia attenzione. Poi, nel 2016, tramite il mio partner iraniano di allora, ho incontrato aIstanbul il cugino di Shole, la madre di Reyhaneh, e sua moglie: erano fuggiti dall’Iran per mettere al sicuro del materiale filmato clandestinamente relativo al caso di Reyhaneh, e ora erano bloccati in Turchia. È stato così che ho visto un video particolarmente commovente: mostra Shole seduta in un’auto davanti alla prigione, in attesa di sapere se a sua figlia sarà concessa la clemenza o sarà giustiziata. Questo momento pieno di speranza e disperazione ha lasciato un segno indelebile nella mia memoria. Nel corso di diversi mesi ho viaggiato ripetutamente in Turchia, siamo diventati amici, e mi hanno chiesto se con quel materiale potevo realizzare un film». “Seven Winters in Tehran” sarà replicato lunedì 27 novembre alla Sala Filmclub alle 16.30, 19 e 21.
“Theatre of Violence” inizia con una domanda: si può essere carnefici o vittime? La pone a sé stesso e ai giudici Krispus Ayena, avvocato difensore presso la Corte Penale Internazionale dell’Aia. Il suo cliente, Dominique Ongwen, all’età di 9 anni è diventato uno dei 20.000 bambini rapiti in Uganda dal Lord’s Resistance Army del leader ribelle Joseph Kony, che ha usato una combinazione di cristianesimo, stregoneria e tortura per trasformare i bambini in spietati soldati dell’LRA e usarli nella ribellione contro il presidente Museveni. Ongwen, isolato dal mondo e manipolato, impara rapidamente che l’alternativa è uccidere o essere uccisi. Cresce e scala le gerarchie fino al grado di comandante. Fino a quando, un giorno, si arrende e finisce all’Aia, imputato in un processo destinato a fare storia. «Theatre of Violence – dichiarano i registi Lukasz Konopa ed Emil Nangballe – è un film sultrauma collettivo e su come superarlo. Gli ideali occidentali di giustizia sono l’unica strada percorribile? Raccontiamo le storie di individui che hanno vissuto le atrocità della guerra, alcuni di loro sono carnefici, altri vittime, ma spesso sono entrambe le cose. Nel corso della realizzazione di questo film, abbiamo imparato che nel contesto della guerra civile queste rigide categorie diventano sfocate e fluide: vittime e carnefici spesso si scambiano i ruoli, il che, secondo molti Acholi, rende necessario guardare oltre la punizione, e concentrarsi sul perdono e la riabilitazione. Dalle storie individuali dei nostri personaggi emerge il quadro più ampio di una società in cui i problemi irrisolti gettano lunghe ombre su ogni aspetto della vita attuale, e rendono incerta la convivenza futura. Il processo a Dominic Ongwen potrebbe davvero portare giustizia alla popolazione del Nord Uganda, o rovinerà la fragile pace e riaprirà vecchie ferite? Nel nostro film cerchiamo di sollevare queste domande e di far riflettere il pubblico sul modo in cui è concepito il sistema giudiziario internazionale». “Theatre of Violence” sarà replicato alla Sala Filmclub lunedì 4 dicembre alle 16.30, 19 e 21.
C.S.

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