Palazzo Stella si tinge di arte con due mostre personali

Di il 9 Gennaio 2019

GENOVA – Una grande partenza per l’arte in questo gennaio del nuovo anno con l’inaugurazione di due mostre al centro SATURA di Palazzo Stella.

“Sogni e figure”

S’inaugura sabato 12 gennaio 2019 alle ore 17.00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra personale di Ario Noris “Sogni e figure” a cura di Flavia Motolese. La mostra resterà aperta fino al 23 gennaio 2019 con orario 15.00 – 19.00 dal martedì al sabato.

 

 

Le opere di Ario Noris (pseudonimo di Giorgio Gazzolo) sono sospese tra razionalità ed inconscio in un gioco di allusioni che si disvelano nel tessuto cromatico e segnico dell’articolazione spaziale. L’artista agisce in maniera libera rincorrendo il fluire delle linee sulla superficie pittorica, perché, lasciandosi guidare solo dall’istinto, in una sorta di automatismo, la mano si muove più velocemente della mente e interviene solo in un secondo tempo. Le forme che così si delineano in questo procedimento vengono poi interpretate, definite e messe in rilievo mediante l’intervento del colore. Questa genesi creativa trova quasi consonanza con la componente interpretativa del test di Rorschach, permettendo all’artista di attingere alla parte più profonda ed autentica della sua fantasia, ricavandone immagini cariche di leggerezza e poeticità. L’andamento energico e sinuoso della pennellata rivela la velocità di esecuzione della prima fase di stesura dell’opera, richiamando la gestualità rituale della calligrafia orientale, e facendo emergere rapporti di pieni e di vuoti animati da un continuo ritmo interno del divenire. Il forte senso del colore e del segno gli permettono di orchestrare un ricco lessico formale in cui, però, predominano sempre il timbro strutturale e la scomposizione tendenzialmente geometrizzante.

La pittura di Ario Noris si connota per una figurazione ambigua che tende verso l’astrazione, in cui è evidente un influsso surrealista: la mutevolezza e compenetrazione delle forme accentua le immagini di un ulteriore senso di indeterminatezza che le rende apparizioni enigmatiche e fuggevoli, come se emergessero da una dimensione onirica. La consonanza con il sogno è rivelata anche dalla presenza ricorrente di simbologie come la luna o il serpente. Quest’ultimo, in particolare, secondo una delle interpretazioni più diffuse, allude al tema dell’eros. Infatti, nascosta nella maggior parte delle opere, affiora la figura morbida e aggraziata del corpo femminile, oggetto del desiderio ed ispiratrice di romantiche visioni. La scelta di una rappresentazione stilizzata denota l’approccio ironico e giocoso dell’artista, un invito a varcare i confini della ragione e abbandonarsi al piacere della fascinazione visiva e mentale dell’arte per riappropriarsi della propria immaginazione.

“Vertigini”

A venticinque anni dalla prima mostra del grande artista genovese ospitata in occasione dell’inaugurazione dell’Associazione nel lontano 1994, SATURA omaggia Plinio Mesciulam, con la mostra personale Vertigini a cura di Mario Napoli. L’appuntamento è per sabato 12 gennaio alle ore 17.00, nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova. La mostra resterà aperta fino al 23 gennaio 2019 con orario dal martedì al venerdì 9.30–13.00 / 15.00–19.00, il sabato 15.00–19.00.

La mostra presenta venti opere mai esposte scelte tra quelle raccolte nel bellissimo volume “Vertigini. Elegia per una città”, con testi dell’Autore e di Martin Krampen. Si tratta di opere dedicate alla città di Genova, realizzate negli anni 1994-1995, e che ora assumono un maggiore significato, oltre che per la forza storica dell’operazione artistica, per il momento che sta vivendo Genova dopo il crollo del Ponte Morandi e per l’inizio di quest’anno in cui si celebra il venticinquesimo anniversario di SATURA.

Plinio Mesciulam nasce a Genova nel 1926 dove vive e lavora. Esordisce nel 1948 a Roma alla V Quadriennale nel contesto della pittura astratta italiana del dopoguerra. Nel marzo del 1950 espone al Caffè Venchi una serie di chine del 1949, che anticipano nettamente la stagione informale degli anni ’50. Nei primi anni di questo decennio viene cercato da Guido Le Noci e da Gianni Monnet per partecipare alle manifestazioni italiane del movimento astratto-concreto. Frequenta l’ambiente fiorentino dove stringe amicizia con Martin Krampen, Paola Mazzetti e con Fiamma Vigo che viene ad interessarsi così dell’avanguardia genovese. Nel 1952, dopo aver conosciuto Atanasio Soldati, su sollecitazione di Monnet aderisce al MAC contribuendo con ricerche sul rapporto colore-spazio architettonico. Dal 1955 al 1959 c’è una crisi che lo porta sempre più lontano dalla contemporaneità, una chiusura accettata nel provinciale, con amore per l’arte del passato, soprattutto per la pittura genovese del ‘600 (“anacronismo” ante-litteram) e per i paesaggi urbani e le figure eroiche di Sironi. A cavallo dei ’50 e dei ’60 elabora una maniera “materica” con l’uso del cartone ondulato, che Dorfles, presentandola, definisce “originale”. Tra figurazione ed astrazione simbolica sviluppa il tema della famiglia, del bevitore, della Crocifissione e del Gethsemani. Dal ’62 in poi, c’è una svolta: si occupa del rapporto parola-immagine, delle immagini prodotte dai mass-media e dei problemi generali della comunicazione, indagando anche su retini e strutture visive optical, giungendo alla fine dei ’60, ad immagini simili a quelle create dai computer sino ai “congegni” che trasformano in segni di scrittura le strutture visive desunte dai congegni meccanici. Del 1973 è il libro “Macroscopia del segno precario”, con cui inizia un lavoro con la fotografia sulla de-verbalizzazione della scrittura corsiva quotidiana, ottenendo l’interesse di Barilli prima e in seguito del movimento “La Nuova Scrittura”. Del 1976 sono le “Epifanie Ostensibili”, insegne con segni scrittori ingranditi, portate in processione, presentate alla Settimana Internazionale della Performance a Bologna. Sempre del 1976 è il libro “Mohammed” e del 1977 la fondazione del Centro Mohammed, una ricerca sulla comunicazione, con particolare attenzione alla natura del destinatario. Il Centro Mohammed si espande in tutto il mondo, suscitando l’interesse, la partecipazione e l’omaggio di vari esponenti dell’avanguardia internazionale, da Beuys a Restany, Rainer, Boetti, Ben Vautier, Chiari, Kushner, Friedman, Vaccari, Bartolini, Paladino, Pignotti, ecc. Una copia dell’archivio del Centro Mohammed viene acquisita dal Jean Brown Archive di Tyringham nel Massachussets e successivamente acquisita dal Getty Museum di Santa Monica. Verso la fine degli anni ’70 è prepotente il bisogno del ritorno al colore ed alla pittura e nascono così i primi quadri “iperdecorativi”, già precedentemente anticipati nei lavori a colour-xerox nelle comunicazioni di Mohammed. Viene chiamato da Barilli a partecipare al movimento dei “Nuovi-Nuovi” e da Menna alla Nuova Scultura (sono di quel periodo opere tridimensionali dipinte: pitto-sculture e pitto-architetture). Il suo “iperdecorativismo” è un decorativismo che, per eccesso, nega se stesso rivelandosi non rassicurante, ma drammatico. Ritorna, per tutti gli anni ‘80, l’interesse al rapporto tra pittura e architettura (“Böhme”, 1987) e l’uso frequente della finestra contorta, che negli anni ‘90 diventerà molle e fantasmatica. E ancora nel 1987, fino agli anni ‘90 inizia il ciclo degli “Horrores” (fotomontaggio di particolari architettonici e di interni con prospettive speculari impossibili). Vi si aggiungono, nel 1996, le “Preghiere”, ostensori, sagome sculto-pittoriche. Nel 1998 inizia la serie delle “Ombre attraversate”, di cui fa parte il successivo ”Album di famiglia” del 2000 (ombre dei familiari proiettate su strutture architettoniche a rilievo quasi a lasciare una memoria di sé).

Nel 2006 rivisita la sua esperienza sul “Segno precario” degli anni Settanta. Pur riconoscendogli, nostalgicamente un’insuperabile “purezza”, non esita a contaminarlo con segni pittorici esacerbati. Ritorna anche il principio dell’ostensione con le “Tavole auto indicate”, il cui tema si ricollega a una grande installazione con il lavoro “Le firme dei maestri” (1974) alla Galleria Rotta di Genova nel 1975. La sua ricerca continua sul tema della coppia, dopo la serie “Eterni amori”, con “Enchiridion” testimonia un caparbio impegno creativo. Opere di pittura, sculture pittoriche, libri d’artista e incisioni di Plinio Mesciulam si trovano presso musei, archivi e collezioni private in Italia e all’estero.

C.S.

Su Redazione

Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Claudio Cabona, Giovanna Ghiglione e Giulio Oglietti. Le foto sono a cura di Emilio Scappini. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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