EX-OTAGO ALL’ARENA DEL MARE: «UN ANNO STREPITOSO, MA CHE EMOZIONE TORNARE A CASA»

Di il 21 Luglio 2017

 

Nel pieno del tour estivo di “Marassi”, gli Ex-Otago ritornano nella loro Genova per un concerto speciale, ricco di ospiti, emozioni e grandi ritorni. Con loro sul palco Jake La Furia, Willie Peyote, Dardust e uno degli otaghi fondatori Alberto “Pernazza” Argentesi.

 

Un furgoncino che parte da un quartiere della periferia genovese, fa il giro di tutta Italia e poi torna a casa, questa volta sul mare, per una sosta che avrà tutto un altro sapore. E’ il viaggio del “Marassi Summer Tour” degli Ex-Otago, l’amatissima band genovese che domani alle 21 suonerà sul palco dell’Arena del Mare nell’ambito del Festival Distorsioni, organizzato da Rst Events. La tappa al Porto Antico di Genova è soltanto una delle molte date estive in calendario, che finiranno il 10 settembre al Carroponte di Milano e che hanno già visto gli Ex-Otago esibirsi sui prestigiosi palchi del Primo Maggio a Roma e degli I’Days di Monza insieme ai Radiohead, ma l’attesa per il ritorno a casa della band genovese cresce sempre di più. Il live, che ripercorrerà la storia del gruppo, dai primi successi fino agli ultimi tormentoni di “Marassi”, sarà impreziosito dalla presenza di numerosi ospiti, da Jake La Furia, con cui gli Ex-Otago hanno duettato nel singolo “Gli occhi della luna”,  a Willie Peyote e a Dardust. Ospite della serata anche Alberto Pernazza, uno dei membri storici fondatori degli Ex-Otago, che farà vivere ai fan un vero e proprio tuffo nel passato.

 

In attesa del concerto di domani sera, ecco quello che Francesco Bacci, chitarrista degli Ex-Otago, ha raccontato a Goa Magazine.

 

Francesco, ci racconti gli ultimi mesi in giro per l’Italia a promuovere Marassi?

«Sono state settimane intense, vissute in viaggio da nord a sud per tutta la penisola, in compagnia di tanti artisti e soprattutto di tanto pubblico. Dopo il tour invernale nei club, abbiamo concluso quello primaverile sul palco del Concerto del Primo Maggio a Roma, un’esperienza incredibile. Ne venivamo da due sold out di fila a Milano, quindi eravamo belli carichi. Da un lato è stato un successo inaspettato, che ci ha riempito di gioia e soddisfazioni; dall’altro è stato anche un po’ ricercato. Ci siamo davvero impegnati per raggiungere determinati risultati, poi che “Marassi” sia stato un album particolarmente fortunato è innegabile. I nostri pezzi sono piaciuti, sono passati in radio e di conseguenza abbiamo suonato in posti sempre più belli con sempre più spettatori».

 

Come è stato calcare il palco del Primo Maggio a Roma?

«Ci ha impressionato ed emozionato. È incredibile quando da quel palco guardi il pubblico e non ne vedi la fine, è immenso, sembra un mare. È stato un concerto speciale anche perché quest’anno al Concerto del Primo Maggio hanno partecipato numerosi artisti della nostra scena, quella che prima veniva definita “indie” e ora forse si chiama “nuovo pop”, quella scena che viene dal basso. Insieme a noi c’erano Motta, Lo Stato Sociale, Brunori, Le luci della Centrale Elettrica e molti altri amici».

 

E aprire il concerto dei Radiohead agli I-Days di Monza?

«Davvero una bella esperienza, anche se non siamo riusciti a conoscere i Radiohead perché nel backstage avevano un’area riservata a cui gli altri artisti non potevano accedere. Però ci portiamo dentro la soddisfazione di aver partecipato a uno dei festival più importanti d’Italia, in compagnia di musicisti pazzeschi come Michael Kiwanuka e James Blake».

 

Da un disco più sperimentale come “In Capo al Mondo” siete poi tornati a casa, geograficamente e musicalmente, con “Marassi”. Quale è stata secondo voi la chiave del successo di questo album?

«Quando abbiamo scritto “Marassi” volevamo creare delle sonorità quanto più possibile legate al presente, un po’ come è lo stesso luogo Marassi, un quartiere legato alla quotidianità e alla semplicità. I suoni che lo raccontano sono volutamente semplici, immediati, pop, pensati per tutti. La semplicità non corrisponde alla banalità, può raccontare cose belle e vere. Ecco, crediamo che la chiave del successo del disco sia stata proprio questa».

 

Da “Marassi” è nato poi “StraMarassi”, un disco ricco di collaborazioni. Ci racconti questa esperienza?

«L’idea di fare featuring con altri artisti ci balenava in testa da un po’, poi Jake la Furia ha ascoltato “Marassi” e ci ha chiesto di fare qualcosa insieme. Abbiamo suonato insieme sul palco di Milano “Gli occhi della luna” ed è venuta benissimo, doveva essere messa su un disco. A quel punto, abbiamo chiamato diversi artisti che stimavamo, e che fortunatamente ci stimavano a loro volta, come Mecna, Levante, Willie Peyote, Dardust, Caparezza, Finardi. Mettersi in gioco e arricchire i nostri pezzi condividendo la nostra musica con altri artisti è stato bellissimo e divertente».

 

I numerosi festival, le canzoni in radio, i sold out, il grande successo: questo ultimo anno vi ha un po’ cambiato rispetto agli anni passati?

«Più che noi stessi, sono cambiate le cose pratiche; oggi giriamo con più gente, tra cui tecnici e tour manager, ed è tutto più strutturato. Il nostro pulmino è diventato un po’ più grande e ospita più persone. Abbiamo tante date in programma, suoniamo meglio, abbiamo strumenti migliori. Da questo punto di vista siamo cresciuti, forse abbiamo meno voglia di fare tardi e di spaccare tutto dopo un concerto, ma alla fine restiamo gli amici che fanno gli scemi agli autogrill e appena trovano una piazzola si mettono a giocare a calcio».

 

Come è sentire regolarmente i vostri pezzi in radio?

«Già ci era capitato con “Mezze Stagioni”, quando passavano “Costa Rica” ci faceva uno strano effetto. Adesso è diverso, i nostri pezzi girano tanto in radio e ogni volta è una soddisfazione. Pensa che la prima volta che hanno passato “Cinghiali Incazzati” non lo sapevamo nemmeno, il singolo doveva ancora uscire e nessuno se lo aspettava. Da lì in poi ci è capitato più volte di entrare nei bar e sentire le nostre canzoni, da “Quando sono con te” a “I giovani d’oggi”. Beh, fa molto piacere».

 

Nelle ultime settimane a Genova sono spuntati i cartelloni che anticipano il concerto che citano appunto la frase “I giovani d’oggi non valgono un c****”. Chi sono i giovani d’oggi?

«I giovani d’oggi siamo noi, sono i quindicenni e sono i quarantenni. Non è un’età anagrafica, ma una condizione di transizione. Siamo soprattutto noi, ragazzi a cavallo dei trenta- trentacinque anni, l’emblema della generazione di mezzo: già adulti per gli adolescenti, ma ancora ragazzoni impacciati che cercano di concludere qualcosa della propria vita per la generazione dei nostri genitori. Da un lato siamo in mezzo alle accuse, dall’altro ci troviamo nella condizione privilegiata di osservare la realtà e dire che forse è il caso di smetterla con la frase “i giovani d’oggi non valgono un cazzo”. Ci sarà sempre qualcuno che si considera più maturo o più capace, che puntando il dito fa notare gli errori e i limiti. La cosa importante è imparare con le proprie gambe, anche sbagliando e prendendo delle facciate, perché no?»

 

Un’altra vostra canzone dice “da bambino sognavo di fare l’indiano”: cosa sognavano gli Ex-Otago da piccoli?

«Mille cose, probabilmente da un certo punto della vita in poi abbiamo tutti sognato di fare quello che facciamo, ovvero suonare e fare concerti. Purtroppo o per fortuna, però, non siamo quella categoria di persone che si pone un obiettivo e lo insegue per tutta la vita. Siamo abbastanza schizofrenici nel porci nuovi obiettivi, che spesso cambiano ogni giorno. Poi ognuno di noi, nella propria vita, a parte la musica coltiva altri mestieri e passioni».

 

Arriviamo al concerto di domani sera. Cosa rappresenta ogni volta tornare a casa e suonare davanti al pubblico genovese?

«Quella di Genova sarà una data speciale, non paragonabile alle altre. Suonare davanti alla gente che ti conosce e che ti ha visto crescere è molto diverso. Quando vai in giro per l’Italia puoi anche permetterti di indossare la maschera del musicista e dipingerti un po’ più come vorresti essere davvero. A Genova, davanti ai genitori, agli amici di una vita, ai compagni di studi e ai colleghi di lavoro, non puoi mentire, loro sanno benissimo chi sei. È più difficile ma anche molto più emozionante. Sarà una bella botta emotiva, un regalo per noi stessi e per la nostra città, che grazie al cielo ci supporta, sempre con la classica pigrizia tipica di Genova! Sarà un concerto speciale, perché suoneranno insieme a noi Dardust, Willie Peyote, Jake la Furia e Pernazza, proprio come gli Otaghi dei vecchi tempi».

 

Cosa farete dopo “Marassi”?

«Ci riposeremo ed esauriremo l’enorme capitale che abbiamo messo da parte in lusso sfrenato… Scherzi a parte, aggiungeremo qualche nuova data al tour e lo concluderemo entro la fine dell’anno. La volontà è quella di mettersi a scrivere quanto prima e a lavorare a qualcosa di nuovo».

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Il direttore responsabile di GOA Magazine è Tomaso Torre. La redazione è composta da Claudio Cabona, Giovanna Ghiglione e Giulio Oglietti. Le foto sono a cura di Emilio Scappini. Il progetto grafico è affidato a Matteo Palmieri e a Massimiliano Bozzano. La produzione e il coordinamento sono a cura di Manuela Biagini

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